ZELENSKY PRESSATO DAL DISASTRO DI POLTAVA, DALLA RITIRATA IN DONBASS E DAL FIASCO STRATEGICO IN KURSK, CERCA DI RIMEDIARE…AL SOLITO MODO OVVERO CON “LA LISTA DEGLI OGGETTI CHE DESIDERI” E BATTENDO CASSA.

Dopo l’articolo in cui espressi forti perplessità  sugli sviluppi della mini invasione ucraina del territorio russo dell’ oblast di Kursk, mi è quasi obbligatorio aggiornare quella analisi politica e militare.

Certo, l’ho detto e lo confermo: l’occupazione ucraina (o atlantista, in pratica) di una pur infima parte del territorio della Federazione russa, oltretutto snodo importantissimo per il transito del gas, non è affatto piacevole, politicamente moralmente e storicamente, per il Cremlino. Si tenga pur sempre presente, che per la prima volta nella Storia, il territorio di una (super)potenza nucleare è in mano a uno stato confinante che dell’atomica, almeno per quanto se ne sappia, non dispone. Infatti, come da sondaggi per nulla segretati da Mosca, la popolarità e la fiducia verso Putin sono in calo: certo non crollano, ma di sicuro un po’ di delusione nell’ opinione pubblica russa è innegabile.

E mi fermo qui, credendo di non stare affermando concetti forzati e irritanti per i nostri lettori, e la nostra redazione, di sicuro non pervasi di sentimenti atlantisti.

Era però chiaro che il Kursk non è assolutamente una mira ucraina, politicamente. E che rappresentava solo un disperato tentativo di indurre i comandi russi a distogliere forze dal Donbass. Una mossa strategica classica, che mi ricorda l’offensiva russa nei primi giorni di guerra del 1914 in Prussia orientale volta a dirottare forze tedesche destinate alla Francia: a prescindere dal disastro che poi ne seguì per i russi, di fatto l’espediente, quella volta funzionò; per diversi motivi quali le grandi proprietà terriere dell’aristocrazia tedesca in loco, e la vicinanza della capitale Berlino.

Il trucco non si è però ripetuto, esattamente centodieci anni dopo giorno più giorno meno. Lo ha ufficialmente annunciato lo stesso leader russo Vladimir Putin al forum economico di Vladidostok, lo scorso cinque settembre: “…..Kiev voleva far innervosire la Russia e fermare l’avanzata nel Donbass, ma non ci è riuscita…….. hanno indebolito le loro posizioni in direzioni chiave e le nostre truppe hanno accelerato le operazioni offensive….”. Colui che in Occidente chiamano zar con disprezzo repubblicanoide, ha in tale sede affermato (surreale e ironico tifo per Kamala Harris a parte) che Kiev inizia a subire nell’area di Kursk “ ingenti perdite sia di uomini che di mezzi”.

Più esattamente, si sappia che i russi, memori degli insegnamenti di Mariupol e Bakhmut e grazie all’indebolimento strutturale del fronte ucraino, sembrano lasciar perdere un classico assedio della località strategica di Pokrovsk con la solita foto del centro conquistato al prezzo di migliaia di caduti, per una fuga in avanti dilagante nel Donbass. Pokrovsk dovrebbe cadere per venire meno delle retrovie. Sta di fatto comunque, che nel mese di agosto appena trascorso, le forze di Mosca hanno conquistato (o liberato, secondo il punto di vista) territorio del Donbass cinque volte più che tra gennaio e luglio 2024.

Ma la situazione strettamente terrestre non è l’unica spina nel fianco degli ucraini, che hanno infatti proceduto a un drastico se non disperato rimpasto di governo: in questa settimana i cieli non hanno per nulla arriso all’Ucraina, a iniziare dallo F-16 abbattuto da fuoco amico (questi caccia apparentemente micidiali ma ormai un po’ vecchiotti sono stati per mesi e mesi in cima alla lista delle richieste di Zelensky). Nello schianto sono periti non solo il popolare tenente colonnello Oleksii Mes considerato il primo asso dell’aviazione di Kiev, ma anche la carriera del comandante dell’aeronautica ucraina Mykola Oleshchuk prontamente destituito da Zelensky.

Ma dove l’ex uomo di spettacolo ucraino assurto al seggio presidenziale è sembrato davvero sull’ almodovoriano orlo della crisi, è stato in occasione del devastante attacco missilistico su Poltava del 3 settembre. L’attacco missilistico russo sulla città  nell’Ucraina centro-orientale, ha provocato un gran numero di morti e feriti.

E’ chiaro che l’obiettivo era militare (pure se i media main stream nostrani hanno cercato di far sospettare come al solito l’ennesima “strage di civili”), si sa benissimo che in quell’ edificio vi era una scuola di addestramento agli aspetti digitali della guerra (materia ovviamente cruciale e delicatissima). Ma la rabbia di Zelensky ( la “feccia russa” et cetera) ha pianto con particolare enfasi e stizza le vittime del 179esimo centro di addestramento militare e dell’Istituto di comunicazioni di Poltava, insolitamente, come se fossero dei civili. Ciò mi pare  indichi che i russi hanno fatto un colpaccio (mi si perdoni il termine cinico e un po’ tifoso, siamo pur sempre dinanzi a vite umane stroncate) e che in effetti, dei civili anche vi erano: ma certo, non povere famigliole coinquiline bensì svariati istruttori occidentali, appunto militari e non.

Al devastante raid missilistico han fatto seguito anche le dimissioni del ministro degli esteri svedese, per non ben specificati motivi. Voci insistenti ma non confermate da Stoccolma affermano che nel sito militare di Poltava sarebbe perito anche un nutrito team di ingegneri informatici della SAAB.

Un primo bilancio delle vittime estratte dalle macerie (non so se le operazioni di scavo siano ancora in corso) ha parlato di 49 morti e 219 feriti, man mano crescendo; e a questo punto, chissà. Secondo uno dei pochi deputati dissidenti della Rada, ci sarebbero addirittura seicento feriti, gli ospedali della città nei cui pressi Pietro il Grande fermò l’invasione svedese (incredibile coincidenza?) sarebbero strapieni di ricoverati. Impiegati missili Iskander.

Secondo una fonte di RT riportata dal blog di Maurizio Blondet “la natura della distruzione mostra che un missile ha colpito tra il terzo e quarto piano, l’esplosione ha fatto crollare i soffitti del quarto e quinto piano, il tetto dell’edificio non è crollato. Il secondo razzo colpì il tetto dell’edificio dall’alto, facendolo crollare insieme ai soffitti del quinto, quarto e terzo piano”.

A tutta questa escalation Zelensky reagisce nel modo più consono alla natura di questa guerra dalla parte ucraina: con un nuovo “giro delle sette chiese” Cernobbio compresa per ottenere gli ennesimi armamenti e fondi; e secondariamente, con un disperato rimpasto di governo (vittima anche il notissimo Kuleba) con motivazioni appunto più psicologiche che politiche (“forze fresche”).

Il leader ucraino presente come dicevo, al think tank della finanza globalista di Cernobbio, ha anche affermato di voler mostrare sia a D.Trump che a K.Harris un piano per vincere la guerra.

A. Martino  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *