QUESTO GOVERNO ARRIVERA’ ALLE ELEZIONI EUROPEE? SE NO, CON QUALI PROSPETTIVE?
Non nascondiamocelo: grillini e leghisto-salviniani sono ormai, stando così le cose, come cani e gatti. La fotografia appare tristemente inattuale. E qui non si sta a fare il tifo per l’uno o per l’altro anche se si sa bene quali siano le nostre preferenze ideologico-culturali, ma si tratta di prendere atto dell’oggettività.
E quella ci dice che i due coniugi, ormai, hanno cordiale fastidio l’uno dell’altro come in molti, purtroppo, dei matrimoni contemporanei anche se ad appena un anno scarso dalla loro celebrazione: una crisi non del settimo anno ma del settimo mese o qualcosa in più?
Tutto è più o meno iniziato con i violenti attacchi a Matteo Salvini in procinto di recarsi dai “trogloditi” e “medioevali” di Verona passando per il solito “atto dovuto” giudiziario sul sottosegretario Siri probabilmente destinato a un nulla di fatto ma comunque condizionante in un sistema politico italiano da un quarto di secolo che piaccia o no no giudiziariodipendente, fino alla rocambolesca conclusione del decreto “salvaRoma” in cui Matteo Salvini ha dato prova di tutte le sue capacità spicce di comunicatore di sostanza, ancor prima che di politica parlante politichese. Ha annunciato in una banale pausa di Consiglio dei ministri, alla stampa, infatti, lo stralcio delle parti del testo a lui troppo indigeste rendendo Di Maio (incautamente quanto provocatoriamente impegnato in TV) e lo stesso Presidente Conte praticamente impossibilitati a smentirlo o a pretendere retromarce; e pare che il presidente del Consiglio dei ministri, proprio in tale stretta veste, ne abbia avuto per entrambi, compreso Di Maio precipitosamente rientrato.
Tutto l’indigeribile menu governativo degli ultimi mesi è stato poi annaffiato con i soliti pessimi vini delle esternazioni immigrazioniste di Fico, delle prediche antisovraniste di altri (e più alti) vertici istituzionali, et cetera.
Ma se rottura doveva esserci, questa doveva essere prima: che senso avrebbe, ora, andare ad elezioni politiche anticipate per dimostrare di non scendere sotto il 20 % (Di Maio) e vedere finalmente grosso modo concretizzati i sondaggi per cui il primo partito italiano è la Lega (Salvini)? Prima, il M5S avrebbe potuto velocemente e con operazione ancora politicamente decente, realizzare il fichiano “ritorno alla casa del padre” ovvero governare col PD; e Salvini non avrebbe sprecato quei due o tre punti percentuali che secondo me lascerà sia per l’inevitabile fine della “luna di miele”, che per i danni dell’affare Siri, che per l’attaccabilità del governo sulla congiuntura economica. E poi? Ammettiamolo, a rimetterci saremmo solo noi, cari amici sovranisti: un governo Lega-Fratelli d’Italia è fantamatematica parlamentare; un ritorno all’ovile berlusconiano significherebbe la definitiva resa incondizionata all’euroatlantismo. E soprattutto, un governo sinistra-5 stelle avrebbe tutte le tare berlusconiane già accennate, oltre a rispalancare le porte all’immigrazione invasiva e sostitutiva, e accentuare fino a livelli mai visti la deriva etica e pensierounicista a livelli persino polizieschi.
Allora, navighiamo a vista, continuiamo a confidare nel Capitano, e per il momento capiamo che non tira più aria di vera “rivoluzione italiana” come nel 2018 dicevamo con un pizzico di innegabile, sano, idealistico candore. Speriamo in tempi migliori e che si sia tutti più lucidi e sereni dopo le elezioni europee del 26 maggio, citando il Giulio Andreotti del “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”.
A.Martino
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