LA PERDONANZA CELESTINIANA: UN PO’ SANREMO,UN PO’ MEETING DI RIMINI, E TANTA PROMOZIONE TURISTICA E MANGERECCIA, CON UNA SPRUZZATA DI POSTCATTOLICESIMO SPRAY.

E’ in corso, mentre scrivo, la settecentotrentesima annualità della Perdonanza celestiniana, accordata a suo tempo dal Papa Celestino V (quello del “gran rifiuto” dantesco, ma non è certo, e non ci interessa in questa sede fare filologia e storia medioevale). 

Non posso però, non premettere che la Perdonanza (ve ne sono diverse altre nel mondo) appartiene a quelle istituzioni di indulgenza plenaria (stabili, a ricorrenza annua, o straordinarie, come il Giubileo universale ordinario ogni quarto di secolo), in cui il fedele cattolico, debitamente pentito dei peccati, confessatosi e comunicatosi e recatosi in determinati luoghi santi o raramente neppure dovendolo fare, ottiene un tale lavacro dell’anima da rendergli sicura, se in quel momento la sua vita terrena terminasse, la benevolenza divina. 

Questa è la realtà, i “non credenti” come si dice ora o atei, possono pensarne quello che vogliono, riderne anche; nessun problema. Però l’essenza, e quella che sarebbe la motivazione unica della “manifestazione” (termine spiritualmente orribile), sarebbe esattamente questa. 

Invece da svariati anni, con crescente laicizzazione e affarismo totalmente mondano da far vagamente ricordare la “vendita delle indulgenze” che tanto apparve scandalosa a Lutero, un evento tra i più squisitamente spirituali, si è geneticamente mutato in un ibrido fra festival di Sanremo, meeting di Rimini con le sue belle parole di pace e “Uomo al centro”, e promozione turistica ed enogastronomica del territorio ospitante. E’ vero, un po’ di preti con liturgie e prediche e riflessioni varie si vedono, ma oltretutto il tripode col “fuoco del Morrone” ricorda assai più il braciere con fiamma olimpica, che la Penitenza e la Misericordia divina.  

Una cosa è sicura: se non si muovessero tanti soldi, né lo stato né gli enti locali offrirebbero tanti finanziamenti, e nemmeno si accollerebbero i rilevati onere da mantenimento dell’ordine pubblico (straordinari alle forze di polizia etc.). Cosa volete che importi la salvezza delle anime nei vari palazzi del potere, ma siamo seri…

Quest’anno, forse per la prima volta, un telegiornale RAI (il più seguito) si è degnato di darne notizia, insolitamente per una regione (l’Abruzzo) che è come altre, sistematicamente destinataria di attenzioni dalla informazione nazionale solo in caso di sciagure e cataclismi. 

Mi sembra assai più evidente la liturgia postmoderna con radici dionisiache del pancanzonettismo, che vuole che le ultime generazioni a partire da quella babyboomer vivano costantemente immerse, preferibilmente ogni momento della loro giornata, stordite e distratte in una ipnotizzante nenia di sottofondo, o in eventi del genere meglio se a tutto decibel, costruita con le note dei successi discografici a partire dal nichilisticamente surreale Volare di Modugno del 1950 (una indubbia e significativa cesura culturale. Tutto ciò che è anteriore è rigorosamente escluso da radio e televisioni). 

Se nella mia infanzia ho udito e riudito le note del morandesco Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte, è probabile che al termine della mia vita, ancora le riudirò; ma potrei, con coerenza storica, non trovare più un prete per le “pratiche estreme”. 

Tutta la kermesse canora e spettacolare in genere (danza più o meno classica compresa e al netto di qualche dibattito sulla ricostruzione postterremoto o sull’orso marsicano o sullo zafferano di Navelli nel cambiamento climatico) sta alla Perdonanza celestiniana come le immancabili bancarelle di arachidi tostate a questa o quella festa patronale. Cosa c’entrano Renato Zero (che pure una certa spiritualità nei testi ce l’ha), o Malika Ayane, Colapesce Dimartino, The Kolors, con il pentimento e la remissione dei peccati (ma per costoro, il peccato esiste o è “una invenzione dei preti per tenere il popolo sotto controllo”?).  

E’ oggettivamente e d’altronde, la Chiesa postcattolica a non saper più gestire i propri spazi fisici, sociali e storici. Cercano disordinatamente di salvare qualcosa dell’immenso lascito spirituale e culturale bimillenario tentando di “modernizzare”, “aprirsi”, “attrarre i giovani”. Cercano di non disturbare criticando, di non turbare accennando al rischio che qualcuno di là possa stare peggio che di qua, hanno cancellato il latino per non apparire esoterici e troppo solenni. Via il canto gregoriano dalla spianata di Collemaggio, ben vengano gli “ str..zi galleggianti” di Colapesce Dimartino, loro successo a Sanremo 2023. 

D’altronde, anche se annacquando enormemente come detto la portata spirituale del suo messaggio eterno, il padre storico della Perdonanza è San Celestino V, in effetti sempre ricordato e glorificato. Sarà meschino e ingeneroso ancora, dopo oltre sette secoli, metterlo in risalto, ma il suo pontificato fu davvero modernissimo, anzi postmoderno: a nemmeno un anno dalla incoronazione, si tolse dalle scatole. Un involontario profeta per l’odierno postcattolicesimo, e una fonte di ispirazione per il successore Benedetto XVI. 

A. Martino            

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