“METTERE L’UOMO AL CENTRO”: TRA RETORICA E REALTÀ AL MEETING DI RIMINI VA IN SCENA L’ENNESIMO FALSO PROGRESSO DEL CONFORMISMO.

Anche quest’anno, come ogni anno negli ultimi 40, al Meeting di Rimini si è parlato di disuguaglianze, di iper-liberismo e della necessità di “mettere l’uomo al centro.”

Lo si è fatto invitando e incontrando persone autorevoli e competenti, come l’economista Branko Milanovic, professore alla City University of New York, o “lupi travestiti da pecora” come José Manuel Barroso, già presidente della Commissione Europea e attuale presidente non esecutivo di Goldman Sachs International.

Insomma, il pensiero cristiano, che un tempo dava forma e sostanza, è passato—attraverso un processo di sublimazione indotto da questo nuovo millennio—a puro conformismo e mondanità.

“Mettere l’uomo al centro,” dunque, non è più un’esigenza reale, ma un motto, bello solo nella forma e vuoto come un guscio d’uovo rotto.

Si invocano i massimi sistemi e si indicano come entità impotenti e inette sia gli organismi sovranazionali sia i Parlamenti nazionali, considerati troppo deboli per contrastare i potentati economici e i finanzieri sregolati. Ma nessuno pensa o dice una parola su quelle poche e semplici azioni che una comunità umana, e quindi una Nazione degna di questo nome, potrebbe intraprendere per iniziare un percorso di riduzione delle disuguaglianze.

Un esempio su tutti è dato da come sono messe oggi le stazioni ferroviarie italiane.

Pochi giorni fa mi trovavo alla Stazione di Roma Termini e, guardandomi intorno, ho fatto le seguenti considerazioni:

  1. In tutto lo scalo ferroviario non vi è una sola seduta, nemmeno una, per l’utente che si trovasse lì ad attendere il proprio treno. Le uniche sedute disponibili sono quelle sui binari e quelle presenti nei tanti bar, ristoranti e tavole calde all’interno dello scalo. Ma oggi, come negli aeroporti, si accede al binario solo attraversando un gate costituito da porte automatiche di vetro che si aprono esclusivamente passando il proprio biglietto sull’apposito lettore, che, è bene sapere, non dà il comando di apertura prima di un’ora dalla partenza del convoglio. Quindi, se una persona anziana o malata ha la sfortuna di trovarsi in stazione tre ore prima, magari perché ha perso il treno o per altri motivi, e non ha i soldi per sedersi al bar, dovrà restare in piedi per tutto il tempo dell’attesa, salvo poi crollare a terra per lo sfinimento;
  2. In tutta la stazione e nelle sue adiacenze non vi è una sola fontanella, nemmeno una. Se una persona non può permettersi di comprare una bottiglietta d’acqua al prezzo richiesto dagli esercenti, potrebbe anche rischiare di morire di sete nell’indifferenza totale dei passanti;
  3. Non esistono più bagni pubblici gratuiti nella stazione; se si vuole andare in bagno, bisogna pagare una moneta per accedere al servizio. E poi ci si lamenta se il disadattato di turno fa i propri bisogni nelle fioriere o, peggio, in pubblico;
  4. La stazione Termini è concepita come un immenso centro commerciale dove si trova di tutto: dall’abbigliamento di classe alla gioielleria, dalla pelletteria all’ottica, passando per bar, ristoranti, tabaccherie, edicole e negozi di giocattoli. Insomma, l’uso pubblico si è piegato all’interesse privato e imprenditoriale, e l’essere umano, da cittadino, è diventato solo un mero consumatore.

In altre parole, caro lettore, vali tanto quanto sei capace di spendere, e nel momento in cui non puoi più spendere, non vali più niente. Come uno scarto, una “deiezione,” è meglio che tu sparisca.

Questa terribile realtà non si verifica solo in ambito ferroviario, ma in ogni altro aspetto della vita quotidiana.

Fateci caso: anche nelle nuove piazze, o in quelle ristrutturate, nelle vostre città sono sparite le sedute, così come le fontanelle.

Perché?

Per lo stesso motivo per cui sono sparite nelle stazioni, ma nelle piazze vi è una ragione in più, legata all’ordine pubblico: senza panchine, i balordi o i senza tetto non possono stazionare sopra o intorno. Ma una società che non è in grado di occuparsi dei senzatetto, ospitandoli – anche a forza – per la notte in strutture dove possano lavarsi e nutrirsi, non è una civiltà, ma un insieme più o meno organizzato di bestie!

Dov’è la civiltà dell’uomo? È dunque questo il tanto decantato progresso dopo 200 mila anni di evoluzione, ossia la capacità di uccidere istantaneamente 400 mila persone con una sola bomba atomica, mentre all’inizio della nostra storia, per eliminare lo stesso numero di persone, si sarebbe dovuto procedere ad accopparle una per una a suon di clavate?

Se questo è il nostro unico progresso, allora meritiamo veramente l’immediata estinzione.

D’altronde, siamo solo numeri atti ad alimentare questa “cleptocrazia” imperante, dove quei pochi che hanno molto tendono a rubare costantemente quel poco che hanno i molti.

È il caso, ad esempio, di ciò che accade agli insegnanti precari.

Questi, infatti, hanno intrapreso questo percorso lavorativo immaginando un determinato percorso che li portasse alla stabilizzazione in un certo tempo. E invece, scoprono ogni giorno che passa ed ogni anno che arriva che le regole del gioco sono puntualmente cambiate.

Infatti, la meta è sempre più lontana e il conto si va inevitabilmente assottigliando a causa dei tanti esborsi affrontati per i numerosi corsi e abilitazioni necessari per non perdere punti in graduatoria. Il precario con incarico a 9 mesi – cioè la stragrande maggioranza del corpo docente – non usufruisce della “carta docenti” e corsi come il TFA o i 30 CFU, costano, mediamente, 2.500 euro ciascuno.

Ora, se si pensa che un docente precario della Scuola Secondaria di Secondo Grado lavora 9 mesi l’anno con uno stipendio medio di 1.450 Euro netti, e che nei tre mesi di disoccupazione, perdendo i contributi in quanto inoccupato, percepisce mediamente 1.000 euro al mese netti, pagati in più tranches, e che deve spendere mediamente per la propria formazione 2.500/3.000 euro l’anno – cioè qualcosa come il 15/18% del proprio reddito – è evidente che siamo in presenza di un furto legalizzato. Anche perché, dopo aver speso tutti questi soldi e frequentato tutti questi corsi, non si ottiene comunque la stabilizzazione, neanche dopo 15 anni di lavoro ininterrotto. Lo sanno bene i tanti insegnanti del sud che, per ottenere il ruolo, sono costretti ad emigrare al nord, con lo stesso stipendio di Catanzaro, ma lavorando magari a Milano, dove la vita costa tre volte tanto. Se questo sacrificio è affrontabile per un giovane single, diventa una pura utopia per una donna o un uomo di mezza età, magari separato, che deve pensare non solo a se stesso, ma anche ai propri figli.

E a chi fanno capo, o sono di proprietà, questi centri di formazione e università private online? Troppo spesso e volentieri ai nostri politici nazionali, che, da un lato, fanno belle facce e si sbracciano nei vari talk politici per dimostrare la loro solidarietà verso il corpo docente di questo Paese, dall’altro, si fregano le mani pensando di far cassa sulle disgrazie di tanti lavoratori.

Quindi noi, consumatori – e chissà per quanto ancora cittadini – siamo importanti per lor signori finché possiamo essere spremuti. Dopodiché, chi ci pensa più?

Tutto è merce, persino la nostra vecchiaia, infermità e morte. Pensate alle tante pubblicità che vedete in TV, il cui tema oggi è, nella stragrande maggioranza dei casi, la soddisfazione dei bisogni degli anziani: poltrone robotiche che vi massaggiano, motorini elettrici che vi consentiranno di muovervi in città senza patente e senza fatica, segnalatori GPS che informano chi di dovere se siete vivi o morti, enti che vogliono il vostro lascito testamentario, comuni che vorrebbero convincervi a farvi cremare, così risolvete pure il problema della carenza di loculi cimiteriali.

E torniamo alle sedute, alle fontanelle e ai bagni gratuiti nelle città e nei nostri centri urbani. Se non siamo in grado di partire da questo, come possiamo parlare di mettere “l’uomo al centro”???

La stazione è un bene dello Stato?

Benissimo, allora la politica imponga queste tre cose e vedrete che, da lì a poco, come per incanto, tante altre cose cambieranno …

Lorenzo Valloreja

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