DANIELE DE MARTINO, STAR NEOMELODICA E POLITICAMENTE SUPERSCORRETTA BANDITA DALLE SAGRE ESTIVE. LA CENSURA E’ TORNATA? NON ESATTAMENTE …

Daniele De Martino (all’anagrafe Agostino Galluzzo), è un ventinovenne musicista neomelodico di origine palermitana con enorme seguito sui socials (450.000 followers Instagram e 80.000 su YouTube), e di notevole successo al Sud e segnatamente nell’area di Napoli. Le canzoni da lui interpretate e che ormai anch’esse, piaccia o no, rappresentano, alla pari di quelle degli innocui Gigi D’Alessio o Geolier, la contemporaneità dell’immenso repertorio napoletano (non so se le scriva anche, in tal caso sarebbe un cantautore) inneggerebbero spesso, dicono, agli ambienti e prassi tipici (e fortemente stereotipizzati) delle criminalità organizzate (mafia, camorra, ‘ndrangheta), omaggerebbero i destinatari del regime carcerario del 41 bis, denigrerebbero le forze dell’ordine, attaccherebbero persino minacciosamente i pentiti. Esempio: il brano Si nu pentito.

Uso tutti questi condizionali dato che, finora, sapevo dei cantanti neomelodici solo relativamente a qualche informazione e allusione di fonte giornalistica, e le mie ormai datate e distratte preferenze in materia di musica leggera (Franco Califano, Massimo Ranieri, Giorgia, al massimo un Diodato o una Annalisa etc.), erano e sono, come comprenderete, lontane anni luce da questo mondo.

Da uno o due anni, però, avendo ben capito lo stile musicale e dei testi di questo genere musicale, l’ho orecchiato ascoltando casualmente gli scaricamenti su smart phone di adolescenti e giovanissimi anche grazie a musica scaricata per l’automobile a volume pazzesco. Continuavo però, a ignorare i nomi dei singoli artisti, che a parte interventi su determinate emittenti locali o regionali, mi sembrano rigorosamente esclusi da qualunque visibilità sulle grandi reti televisive private oltre ovviamente che dai canali RAI imperterriti nella loro attività di intrattenimento musicale “museale” (Albano, Orietta Berti, I ricchi e poveri, Mal, Iva Zanicchi, persino una volta a Domenica In lo “a volte ritornante” Toni Dallara, e così riesumando).

Prima conclusione: un De Martino o un Celeste, o un Rosario Miraggio o un Gianni Fiorellino piuttosto che un Raffaello o un Anthony (mi perdoni qualcuno non citato) piacciono a molti ragazzi, che con la camorra o la mafia, vi garantisco, nulla hanno a che fare. Seconda conclusione: questi cantanti stanno avendo una notevolmente accresciuta visibilità a causa della campagna di demonizzazione e ostracismo istituzionale contro almeno qualcuno di loro, di cui ora vi dirò.

Vi è infatti una sfilza di eventi del genere della sagra o festeggiamento patronale prossimi allo svolgimento in cui i questori locali hanno ritenuto di intervenire annullando le già ottenute autorizzazioni del discusso Daniele a esibirsi. Ad esempio il 12 agosto a Sant’Anna di Caltabellotta (AG), o il 25 agosto a San Benedetto dei Marsi (AQ). Sempre in Abruzzo la star neomelodica non ha potuto esibirsi per analogo divieto, a giugno sia a Capistrello (AQ) che a Isola del Gran Sasso (TE). In occasione del divieto per Capistrello, il questore motivò: “ Con la sua condotta sociale ha deliberatamente, in più occasioni, esternato gravi espressioni verbali che implicano una istigazione alla violenza, un’esaltazione delle gravi azioni antigiuridiche connesse alla criminalità organizzata e contrarie ai valori della società civile e delle istituzioni dello Stato. Ha inoltre esternato vicinanza agli ambienti malavitosi, non disdegnando di incontrare pregiudicati”.

Sembra che a San Benedetto dei Marsi abbiano a questo punto ingaggiato Gianni Celeste (alias Giovanni Grasso), altro neomelodico ma evidentemente meno censurabile.

E sì, mi è scappato il termine antipatico ma la sostanza mi pare quella della censura, sia pure per le più nobili motivazioni e con tutta la legittimità che si voglia: siamo oltretutto nel 2024, e mi pare anacronisticamente paternalistico impedire al volgo di sentire affermazioni in musica che possano “traviare” e “portare sulla cattiva strada”. Eppure, blasfemia e pornografia sono ormai sostanzialmente sdoganate in nome della libertà di espressione, del multiculturalismo, e della laicità dello stato. Non vorrei che ormai gli unici “diritti” intangibili siano quelli arcobalenici: Rosa Chemical, certamente, non avrà alcun divieto di esibizione in nessun posto. E d’altronde, basti pensare a ciò che è diventato il Festival di San Remo nelle ultime edizioni. Le giornate gay pride nuove “adunanze”?

Mi colpisce anche che sia ritenuto allarmante l’incontrare pregiudicati: costoro non dovrebbero essere considerati cittadini che hanno sbagliato, hanno pagato o stanno pagando, un debito con la giustizia e che vanno quanto prima reinseriti nella società civile?

D’altronde, la saga cinematografica de Il Padrino oggi sarebbe irrealizzabile, e i cantastorie che nelle campagne siciliane cantavano le pur discutibili e sanguinarie gesta di Salvatore Giuliano (per me, l’ultimo dei briganti anti stato unitario) sarebbero probabilmente arrestati. Sono questi, tempi sempre meno liberali nel senso autentico del termine, e sempre meno capaci di ironia e tolleranza. Trovo spassose certe espressioni napoletane di De Martino quali lo “scuorno” ovvero vergogna che il pentito arrecherebbe alla sua gente: mi sembrano più da classica sceneggiata di cui Mario Merola fu re, che da relazione di squadra mobile.

Ma non solo: vi è anche una irrisolta “questione meridionale” di diffidenza ed estraneità verso lo stato e le sue esigenze e visioni che un secolo e mezzo abbondante di unità nazionale non è riuscito a dipanare. Storicamente e antropologicamente significativo, che il neomelodismo si sviluppi entro gli esatti confini, peninsulari e insulari, di quello che fu il Regno delle Due Sicilie.

A. Martino

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