E’ SBAGLIATA LA POLEMICA SULLA FEMMINILITA’ O MENO DELLA BOXEUSE ALGERINA, GIOVERA’ SOLO ALLA RETORICA INCLUSIVISTA. IL PROBLEMA E’ NELLA CONFUSIONARIA PARITA’ TRA UOMO E DONNA A OGNI COSTO E COMUNQUE. E CHE FIGURACCIA PER L’ITALIA.

Segno dei tempi; queste Olimpiadi sono quelle del Grande Reset e della ridefinizione antropologica. Se quindi hanno tenuto a mostrare le radici del Pensiero Unico (la testa mozzata di Maria Antonietta) nel pessimo baraccone da luna park dello show inaugurale, oltre che l’inevitabile omosessualizzazione della società in fondo per decreto di non si sa bene chi, è normale che lo sport stesso (che dovrebbe essere l’ingrediente primario della kermesse mondiale) non può esserne immune.

E’ ovvio il riferimento alla vexatissima quaestio della boxe femminile. Chi si aspetta da me però, una superficialmente scontata predica sui tempi bui in cui “un uomo non è un uomo e una donna non è una donna” come anche del patriottismo dal costo di un tot al chilo, potrebbe rimanere un po’ deluso.

Sono un tradizionalista evoliano-duginiano, e questo giornale non è Libero o Il Giornale.

Ma andiamo per ordine, e con quella schiettezza non solo terminologica ma concettuale qui necessaria. Donne e sport: un binomio non scontatissimo, che implica tuttora una rigida differenziazione delle gare e dei tornei e una necessaria forzatura, negli aspetti della muscolarità dello sforzo e della resistenza agli impatti, riguardo certe discipline in particolare.

Una vera buffonata goliardica, da questo punto di vista, la partecipazione di Elly Schlein alla “partita del cuore” (già per me un po’ grottesche in generale queste manifestazioni) con cui determinate categorie super benestanti quali i cantanti (di successo, ovviamente) o i politici danno l’idea di affrontarsi così sciacquandosi le loro facce alla fonte della beneficenza; e fanno sforzi titanici per far arrivare un calcio di rigore dalle parti della porta avversaria.

Alla ripresa moderna delle Olimpiadi, vi furono molte stupide resistenze all’ingresso della donna contemporanea nello sport, in certi casi con un fondo di sensatezza, in altri no. Se infatti vedo benissimo una donna al tiro al piattello (o al povero piccione), e nell’atletica leggera in genere o al tiro con l’arco (ci mancherebbe altro, si pensi alla mitologica Artemis-Diana), ho forti dubbi, per esempio, sul sollevamento pesi, o sul lancio del martello, o appunto sulla boxe.

Ma anche l’equitazione mi solleva dei dubbi per il particolare impatto dei movimenti del cavaliere sull’area pelvica. E anzi, trovo che la complicatissima quanto elegante e aristocratica montura “alla amazzone”, potrebbe tornare utile anche a molti uomini in prevenzione della prostatite.

Sports di grande sforzo muscolare come i suddetti, o di enorme stress psico-fisico come la boxe ove conta darle quanto riuscire a incassarle, sono inconciliabili con la natura e struttura femminili, ma anche, spesso, con quella maschile odierna. Quante ragazze, ma anche quanti ragazzi, si cimentano ormai nella “nobile arte”? Quanti genitori non fanno presente che quei bei faccini potrebbero rimanere inevitabilmente segnati a partire dal naso, additando le palestre di boxe come una specie di luogo di perdizione? La boxe è sostanzialmente contraria allo spirito dei tempi: “non picchierei nemmeno una mosca”, “è uno sport troppo violento”, “ non sopporto la vista del sangue”….. Per sopravvivere ha dovuto accettare i caschi protettivi. Il pugilato non è insomma da donna, ma neppure da uomo femminilizzato e innocuo, come la società di oggi lo impone confinando il maschio-maschio nel retaggio “patriarcale” o nella “devianza”.

Ed ecco quindi l’esplosione della moda del pugilato per signore e signorine: ricordo che testimonial informale ne fu una giovane Asia Argento dal naso ancora mal ridotto. Non ne metto assolutamente in dubbio la femminilità di base, ma non è sembrata sempre un po’ androgina, e dalla voce alquanto profonda?

E’ quindi normale e fisiologico che una atleta quale  la algerina Imane Khelif definita intersex come anche la taiwanese Lin Yu-Ting, dal testosterone anomalo e alto quale in una donna su mille o duemila, calchino il ring e certo non la  pedana della ginnastica artistica e nemmeno la sabbia della beach volley. Non sono dei “mostri” anche se un folle innamoramento da parte di un uomo è alquanto difficile, e non sono neanche una provocazione della macchina gender-LGBT: ritengo un errore essere caduti in questa trappola, che servirà solo a dimostrare l’ “oscurantismo” degli alfieri, non del tutto coerenti, e attivi a giorni alterni, della natura umana naturale e “tradizionale”.    

La narrazione main stream è a questo punto semplicissima: da un lato “Putin” ovvero la federazione mondiale pugilistica con le varie sezioni nazionali che sarebbero abbastanza controllata dalla Russia non saprei bene come, l’Italia di Meloni e la Ungheria di Orbàn (neanche a farlo apposta Imane ha dovuto affrontare e prevedibilmente battere prima l’atterrita e atterrata nostra Angela Carina, poi la ungherese Anna Luca Hamori caduta con molta più eleganza); e il nostro CONI allineati sulla presa di posizione del nostro governo volta a negare la reale femminilità di Imane. Dall’altro invece, per il lungimirante, postmoderno e aperto CIO presieduto da Thomas Bach è e resta una donna.

La realtà invece, secondo me, è che è venuta allo scoperto la menzogna delle “pari opportunità” sempre e ovunque: una donna-donna come la nostra pur validissima Fiamme oro Angela Carina si è schiantata ritirandosi al 46 “ sotto i micidiali pugni dell’androgina algerina, piagnucolando per la bua e addirittura abbandonando il pugilato.

Insomma: il femminone androgino algerino ha boxato come una macchina da guerra, e la brava ragazza italiana è stata travolta come un barboncino da un rotweiler. Incredibile: eppure Angela, se fosse finita fisiologicamente la sua carriera sportiva, avrebbe potuto restare in polizia che non è proprio come insegnare ai bambini dell’asilo.

Ancora più bizzarro il premio da centomila euro promesso dalla nostra Federboxe: mi pare come assegnare la medaglia d’oro a chi si arrese a Caporetto senza consumare una sola cartuccia. Indiscrezioni di stampa vorrebbero la Carina prossima ad assumere un ruolo di riferimento e coordinamento nel risanamento sociale e morale di Caivano, in raccordo con don Marco Patriciello assai vicino alla premier Meloni.

Quasi quasi, fra cinque-dieci anni, intravedo una brillante carriera politica a destra (se una destra ancora esisterà).

A. Martino

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