IL CASO USTICA, UNO FRA TANTI
Sui cieli sopra il tratto di mare fra Ponza ed Ustica il 27 giugno 1980 alle 20.59 viaggiava il volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia.
Era partito da Bologna, avrebbe dovuto atterrare a Palermo.
Decollò con due ore di ritardo, ore fatali per le 81 persone che si trovavano a bordo di quel DC9.
Sono passati 44 anni ed ancora la nostra Patria è alla ricerca della “verità” su cosa sia veramente successo a quel “maledetto volo”.
Anni di cordoglio, depistaggi e tante, ma veramente tante, parole vuote.
La verità su quanto è accaduto nei momenti precedenti la strage non è mai stata fatta emergere da chi, certamente esiste, in Italia ed all’estero, avrebbe potuto documentarla alle autorità competenti.
Anche da questo si comprende che quella “verità”, qualsiasi essa sia, almeno fino ad oggi, non è possibile farla emergere.
“Qualcosa” o “qualcuno” lo impedisce.
Tanti i “segreti” nella nostra Italia, il “caso Ustica” non è altro che uno di questi.
Segreti in alcuni casi oramai “datati”, potrebbero essere definiti “inerti”, ed in altri assai più “recenti”, vivi nelle dinamiche politiche interne e nei rapporti fra la nostra Patria e gli altri Stati.
Molti i servitori dello Stato che, per “interessi di Stato” o per “interessi privati”, si impegnano per impedire che queste “verità” emergano.
La Repubblica, in alcuni casi, si tutela anche con la “negligenza” e “smemoratezza” di alcuni suoi servitori, in altri casi detta “negligenza” e “smemoratezza” non è a tutela della Patria ma di “alcuni” nella Patria ed è causa di rischi per il popolo italiano.
Certamente queste “smemoratezze”, tutte, causano ferite che rimangono aperte, non solo nelle famiglie che le hanno subite, molto più profondamente nella tenuta sociale della nazione.
Quasi sempre le stesse sono vere e proprie “bombe di profondità” che rischiano di “esplodere” soprattutto se il quadro in cui si sono formate dovesse subire radicali cambiamenti.
Gestire il giusto equilibrio fra la necessità di “giustizia” e la altrettanta forte necessità di “stabilità” del sistema democratico è un lavoro da “esperti”.
Esperti che devono basare i loro comportamenti seguendo gli insegnamenti che Kant ha dato sull’equilibrio fra etica ed estetica nei suoi mai troppo compulsati testi.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto commemorare l’ennesimo anniversario di una “strage senza risposta”, piuttosto che di uno dei tanti “misteri senza risposte” passati dentro la storia della nostra nazione, con queste parole “La Repubblica non si stancherà di continuare a cercare e chiedere collaborazione anche ai Paesi amici per ricomporre pienamente quel che avvenne”.
Parole usate in memoria della strage di Ustica, ma adatte per tanti altri momenti non chiari della nostra Italia.
Una Patria ove gli “irrisolti” sono molto più frequenti dei “pienamente risolti”.
Il 27 giugno è stato l’anniversario del “caso Ustica”, ma rappresenta anche una data simbolo, fra tante nella nostra Italia, della incapacità della nostra Patria – quantomeno se essa si rappresenta attraverso il suo sistema istituzionale, burocratico ed intellettuale – di rispettare se stessa.
Il giorno in cui il sistema socio politico italiano saprà fare il necessario cambio di passo la nostra Patria potrà aprirsi a nuovi e più ampi orizzonti.
Quel giorno, se mai arriverà, sarà quello in cui noi italiani sapremo rispettare noi stessi dando dignità istituzionale vera e profonda alle nostre azioni.
Quel giorno, se mai arriverà, sarà quello in cui noi italiani sapremo rispettare noi stessi dando concretezza alle parole, quelle sempre tante, della nostra classe politica ed intellettuale attraverso comportamenti adeguatamente coerenti alle stesse parole usate.
Quel giorno, se mai arriverà, sarà quello in cui noi italiani sapremo rispettare noi stessi e, conseguentemente, potremo iniziare a guardare gli altri da pari.
Essere dei “pari”, non far finta di pensare di esserlo o, addirittura, senza l’adeguato standing istituzionale, voler imporre agli altri popoli, Stati, di riconoscerci un ruolo che essi non reputano noi aver diritto di avere.
Fino a quando non sapremo rispettare noi stessi attraverso una reale e forte coerenza fra il dichiarato e l’azione non saremo dei “pari” ma, esclusivamente, dei “parvenue” quando non, addirittura, dei “sudditi”.
Troppo frequentemente noi italiani abbiamo dovuto prendere atto che gli altri Stati, europei in primis, ci “guardano” come dei “parvenue”, appunto.
In queste ore, chi scrive lo teme, a questo sgradevole ruolo parrebbe che la UE27 ci abbia relegato.
In queste ore, allo stesso tempo, come non ricordare quel “triste” bacio sulla fronte che la Premier Meloni ha accettato recentemente di subire dal Presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
In queste ore, allo stesso tempo, come non ricordare quel nefando intervento fuori misura di chi l’Italia deve rappresentare e proteggere al G20 in India nei confronti del “autarca” Putin. Certamente “autarca” ma, comunque, Presidente di una della tre super potenze al mondo. Intervento pariteticamente fuori tono di quello di Biden allorquando definì il leader della Federazione Russa un “macellaio” senza, però, essere il Presidente di un’altra delle, sempre tre, super potenze al mondo.
Tante le parole dei media, parole che sembrano sempre più propaganda e non cronaca, per rappresentare agli italiani la “grandezza italica”, i fatti, però, raccontano altro.
Raccontano di una nazione che si auto incensa ma sta implodendo.
È stato il 27 di giugno ed abbiamo commemorato con ripetuto dolore e cordoglio le vittime di quel “irrisolto caso”, uno fra tanti.
Niente di più nell’Italia di oggi.
Ignoto Uno
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