IN LIBIA, FINO AD ORA, CI HA SALVATO LA RUSSIA, ADESSO TOCCA A NOI METTERE GLI STIVALI A TERRA

Ci sono persone che nascono con la camicia ed altre con le pezze al “culo”, così come, allo stesso modo, vi sono Governi che vengono al mondo sotto una buona stella ed altri che, per tutto il loro mandato, devono costantemente confrontarsi con delle emergenze inenarrabili.

Ma detto questo, è anche vero che, è proprio nel momento delle difficoltà che si vede la stoffa, la tempra, dei singoli individui così come degli Esecutivi che li rappresentano ed il nostro attuale Governo, nella crisi libica di queste ultime ore, è chiamato più che mai a tirare fuori i cosiddetti attributi.

Sulla nostra “quarta sponda”, checché ne dicano taluni organi di stampa, la crisi non è solo umanitaria – si pensi a tal riguardo al probabile esodo di ulteriori migliaia di disperati che da lì potrebbero partire verso l’Italia per lasciarsi alle spalle questa interminabile  guerra civile – ma è soprattutto economico/militare.

Per capire bene questa questione e rendere veramente edotti i nostri lettori è quantomeno necessario, da parte nostra, fare un veloce riepilogo degli eventi.

A seguito della caduta di Gheddafi nel 2011, ad opera in primis della Francia di Sarkozy e poi degli Stati Uniti, la Libia è rimasta, di fatto, divisa in due:

  • L’est, con i territori della Cirenaica e della regione di Cufra, sotto il Generale Khalifa Haftar, uomo vicino alla Russia di Putin ma che, nel tempo, ha saputo consolidare il proprio potere soprattutto attraverso i soldi dei Sauditi e degli Emirati Arabi;
  • L’ovest, comprendente la sola Tripolitania e l’oasi di Ubari, sotto Fayez al-Sarraj, personaggio riconosciuto dalla maggioranza della comunità internazionale e soprattutto, dalla Repubblica Italiana la quale, a proprie spese, ha provveduto a potenziare la marina del Governo di Accordo Nazionale e ad addestrare alcuni reparti delle forze terrestri del Governo di Tripoli.

Questa elargizione di aiuti è stato un tentativo del nostro Paese per non perdere la propria sfera d’influenza in quell’angolo di mondo, infatti sono troppi gli interessi petroliferi e strategico/militari, che legano la “Terra dei Fileni” a Roma, ma la frittata era ormai stata fatta: i nostri tre mesi d’intervento militare, durante la campagna del 2011, affrontati più per obbligo verso la NATO che per nostra convinzione, sono costati, al contribuente italiano, ben 700 milioni di Euro e l’unico risultato concreto  che il Bel Paese ha ottenuto da questa guerra è stata la perdita della nostra influenza economica in Libia e la destabilizzazione di tutta l’area.

Al contrario, all’epoca dei fatti, se il Governo Berlusconi fosse stato veramente libero, in virtù degli accordi firmati a Bengasi nel 2008, l’Italia avrebbe dovuto impedire qualsiasi atto ostile (attacco armato) nei confronti del regime di Gheddafi sia che provenisse dalle proprie acque che dai propri cieli.

In altre parole noi eravamo alleati della Libia ed avremmo dovuto negare alla NATO di usare sia le nostre basi che il nostro spazio aereo e/o marittimo per sferrare attacchi contro Tripoli, invece non l’abbiamo fatto … perché, ahimè, siamo proni e succubi sia della Casa Bianca che delle maggiori cancellerie europee.

Per dirla tutta ci saremmo dovuti e potuti, permettere anche il lusso di mandare la nostra flotta a presidiare i porti libici così come, il nostro esercito, ad occupare i punti nevralgici della Giamahiria libica certi del fatto che nessun esercito della NATO avrebbe mai osato sparare su di un nostro soldato (Sigonella docet).

Così facendo, forse, Gheddafi sarebbe ancora vivo e di certo ci saremmo risparmiati il collasso dello Stato libico con tutto quello che ne è conseguito, ma così non è stato.

Ora, che la nostra mancata opposizione all’Operazione Harmattan fosse stata un clamoroso errore ne erano ormai consapevoli tutti e così, anche i più atlantisti ed europeisti tra gli italiani, cioè i ministri del PD, iniziarono a paventare, con la Pinotti in prima linea, un’ipotesi a dir poco coraggiosa ma che aveva una sua logica: l’Italia, sotto l’egida della comunità internazionale, avrebbe dovuto inviare in Libia un contingente stimabile tra le 10mila e le 50mila unità, a seconda delle esigenze, per occupare tutta la costa per una profondità  di circa 50 km.

Per fare questo, però, occorreva non solo un Esecutivo pienamente Sovranista ma anche uno Stato che fosse realmente libero ed indipendente e siccome l’Italia, dell’epoca, non era entrambe le cose – un po’ per le proteste del Generale Haftar, un altro po’ perché avremmo rotto le uova nel paniere ai nostri cugini d’oltralpe per i quali i politici del PD provano una smodata ammirazione, ed infine un altro pò perché, in certi ambienti,  una simile iniziativa avrebbe di sicuro fatto gridare al fascismo – i vari Governi di centro-sinistra succedutisi decisero di abbandonare l’intento.

Salito al potere il Governo Giallo/Verde le cose non sono cambiate di molto nel senso che la nostra linea visceralmente e saldamente atlantista non ha fatto altro che giocare a nostro sfavore.

La Russia, appoggiando inizialmente Haftar, è entrata prepotentemente nella questione libica e l’Italia vantando una certa propensione verso Mosca avrebbe potuto sfruttare al meglio questa relazione per ricomporre i cocci, ma il servilismo alla NATO ha fatto sì che le sanzioni alla Russia siano state rinnovate anche sotto l’Esecutivo Conte.

Un atteggiamento a dir poco schizofrenico che di certo non ha giovato alla risoluzione della crisi libica anche se, miracolosamente e magnanimamente, per un indiscusso occhio di riguardo di Putin verso il nostro Paese, il Cremlino ci è venuto nuovamente incontro anche durante la Conferenza di Palermo del novembre 2018 quando, presentandosi all’appuntamento con il Presidente Dmitri Medvedev, ci portò in dote il Generale Haftar, salvandoci così la faccia e permettendo, per un brevissimo periodo, di mettere intorno ad un tavolo le due fazioni in lotta: Sarraj e il Governo di Tobruch, mentre gli altri Paesi nostri alleati, in primis gli Stati Uniti, sostanzialmente snobbarono la nostra conferenza presentandosi, quando andò bene, con delegazioni di bassissimo livello – vedi Washington che inviò il consigliere speciale del dipartimento di Stato per il Medioriente, David Satterfield, o la Germania che si presentò con il sottosegretario agli Esteri, Niels Annen – quando andò male non presentandosi affatto.

Haftar, dal canto suo, a Palermo mangiò la foglia, capì che tanta manifestazione d’amicizia della Russia nei confronti dell’Italia non avrebbe di certo portato ad un suo dominio definitivo e totale su tutta la Libia e così, ambizioso com’è, iniziò a battere sempre di più la pista dell’appoggio delle monarchie del golfo avendo degli atteggiamenti che di sicuro non piacquero a Mosca tanto da far si che quest’ultima, negli ultimi tempi, iniziasse a prendere le distanze dal vecchio generale.

Ed eccoci giunti all’ultimo miracolo russo a favore dell’Italia: infatti se Tripoli non è ancora caduta è proprio perché Putin non sta appoggiando più come prima il Governo di Tobruch.

Come per Rommel, così per Haftar, le linee di rifornimento si sono allungate troppo ed il Fedmaresciallo di Agedabia corre il rischio reale di impantanarsi, è accaduto già in passato durante la Guerra contro il Ciad che gli costò la prigionia e l’onta del tradimento ed è facile che gli accada ancora oggi. In buona sostanza il maggior nemico di Haftar è Haftar stesso.

Ma se è così perché ogni ora che passa alza sempre il tiro? Semplice perché dietro di lui, anche se ora ha perso il consenso russo, ha acquisito l’appoggio militare e logistico francese.

Parigi insomma vuole cacciarci definitivamente dall’Africa e gli Stati Uniti vogliono punirci per l’accordo con la Cina e noi che facciamo?

Anziché allearci con la Russia per fare un blocco unico chiediamo l’intervento USA per fermare Haftar … ma siamo diventati matti???

Ma quando capiremo che, si, la via diplomatico/politica deve essere preminente rispetto alla via militare, ma non può essere la sola?

Quando lo capiremo, come in questo caso, forse sarà troppo tardi.

Non si può pretendere di avere un reale peso in un processo di pace se non ci si sporca un po’ anche le mani, così come non possiamo sperare solo nella simpatia della Russia nei nostri confronti quando poi noi non facciamo nulla per aiutare questa Nazione.

In buona sostanza l’Ortis invita il Governo italiano a riprendere l’ipotesi ventilata intorno al 2015/2017, cioè quella di scendere con gli stivali a terra nei territori di Sarraj.

I nostri militari oggi sono ancora in Afganistan, così come siamo in Niger, a fare cosa? A difendere gli interessi degli americani e dei francesi? No grazie!

Le nostre risorse, il nostro esercito, devono essere utilizzati esclusivamente per salvaguardare i nostri interessi nazionali.Il Mediterraneo è casa nostra mentre non lo sono ne l’Hindu Kush ne il deserto del Sahara. Di queste plaghe del mondo se ne facessero carico gli imperi ed i popoli che ne hanno sfruttato per secoli le risorse, cioè i britannici ed i francesi.

Lorenzo Valloreja

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