“LA RISURREZIONE” DI ALESSANDRO MANZONI COME MESSAGGIO DI BUONA PASQUA AI NOSTRI LETTRICI E LETTORI
Alessandro Manzoni (1785-1873) è uno dei massimi nomi della letteratura italiana. Il suo romanzo I promessi sposi, è come il poema dantesco, oggetto di apposito o almeno approfondito studio, pur nella diversità della programmazione didattica a seconda degli indirizzi, nella scuola italiana “di ogni ordine e grado”.
Saldamente inserito nella realtà politica e culturale del proprio tempo, è considerabile il massimo esempio del cosiddetto cattolicesimo liberale; e ne rappresenta in modo chiarissimo l’ala estrema, assolutamente insensibile agli avvertimenti e condanne di papa Pio IX sui rischi dei nuovi sistemi liberaldemocratici per il futuro del seme cristiano oltre che agli immensi problemi di principio e morali che a quest’ultimo imposero l’impossibilità della rinuncia volontaria al dominio temporale e alla sovranità su Roma, indiscutibile centro universale della cattolicità e sede naturale del papato.
La posizione manzoniana mi è sempre, quindi, parsa poco comprensibile e antipaticamente precorritrice del modernismo, del “cattolicesimo democratico” prima, del “cattocomunismo” poi e infine dello stesso postcattolicesimo bergogliano.
Eppure, gli Inni sacri, come a confermare l’incredibile bifaccialità del lascito culturale manzoniano, sono quanto di più cattolicamente e teologicamente corretto ci si possa attendere da uno scrittore sostanzialmente e pur sempre profano. E teologicamente ineccepibile mi pare la scelta di far cominciare gli Inni proprio dalla Pasqua ovvero dalla resurrezione di N.S. Gesù Cristo: è essa, e non il Natale, la festa più importante per qualunque cristiano. La Risurrezione fu composta tra la Pasqua del 1812 (29 marzo) e il 23 giugno dello stesso anno: tanto a titolo di cronaca, si sappia che il 24, giorno successivo, la Grande Armee napoleonica passò il fiume Niemen per invadere la Russia.
Nel piano manzoniano gli Inni avrebbero dovuto essere dodici, ma riuscì a comporne solo altri cinque di cui uno incompiuto. La genesi della loro ispirazione, e della stessa idea di una opera poetica sui principali Misteri cristiani, sta indubbiamente nella conversione o meglio ritorno alla fede del giovane aristocratico milanese.
Ecco il testo de La Risurrezione che probabilmente non rappresenta un terreno apicale della ispirazione manzoniana, ma di certo è tra le pagine più belle che le Lettere hanno riservato a un evento il quale, piaccia o no, negato nel suo stesso verificarsi o meno a partire praticamente da subito, ha veramente cambiato il corso della storia umana.
A.Martino
È risorto: or come a morte
La sua preda fu ritolta?
Come ha vinto l’atre porte,
Come è salvo un’altra volta
Quei che giacque in forza altrui?
Io lo giuro per Colui
Che da’ morti il suscitò,
È risorto: il capo santo
Più non posa nel sudario;
È risorto: dall’un canto
Dell’avello solitario
Sta il coperchio rovesciato:
Come un forte inebbriato
Il Signor si risvegliò.
Come a mezzo del cammino,
Riposato alla foresta,
Si risente il pellegrino,
E si scote dalla testa
Una foglia inaridita,
Che, dal ramo dipartita,
Lenta lenta vi ristè:
Tale il marmo inoperoso,
Che premea l’arca scavata
Gittò via quel Vigoroso,
Quando l’anima tornata
Dalla squallida vallea,
Al Divino che tacea;
Sorgi, disse, io son con Te.
Che parola si diffuse
Tra i sopiti d’Israele!
Il Signor le porte ha schiuse!
Il Signor, l’Emmanuele!
O sopiti in aspettando,
È finito il vostro bando:
Egli è desso, il Redentor.
Pria di Lui nel regno eterno
Che mortal sarebbe asceso?
A rapirvi al muto inferno,
Vecchi padri, Egli è disceso:
Il sospir del tempo antico,
Il terror dell’inimico,
Il promesso Vincitor.
Ai mirabili Veggenti,
Che narrarono il futuro,
Come il padre ai figli intenti
Narra i casi che già furo,
Si mostrò quel sommo Sole,
Che, parlando in lor parole,
Alla terra Iddio giurò;
Quando Aggeo, quando Isaia
Mallevaro al mondo intero
Che il Bramato un dì verria;
Quando assorto in suo pensiero,
Lesse i giorni numerati,
E degli anni ancor non nati
Danïel si ricordò.
Era l’alba; e, molli il viso,
Maddalena e l’altre donne
Fean lamento sull’Ucciso;
Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.
Un estranio giovinetto
Si posò sul monumento:
Era folgore l’aspetto,
Era neve il vestimento:
Alla mesta che ’l richiese
Diè risposta quel cortese:
È risorto; non è qui.
Via co’ palii disadorni
Lo squallor della viola:
L’oro usato a splender torni:
Sacerdote, in bianca stola,
Esci ai grandi ministeri,
Tra la luce de’ doppieri,
Il Risorto ad annunziar.
Dall’altar si mosse un grido:
Godi, o Donna alma del cielo;
Godi; il Dio, cui fosti nido
A vestirsi il nostro velo,
È risorto, come il disse:
Per noi prega: Egli prescrisse,
Che sia legge il tuo pregar.
O fratelli, il santo rito
Sol di gaudio oggi ragiona;
Oggi è giorno di convito;
Oggi esulta ogni persona:
Non è madre che sia schiva
Della spoglia più festiva
I suoi bamboli vestir.
Sia frugal del ricco il pasto;
Ogni mensa abbia i suoi doni;
E il tesor, negato al fasto
Di superbe imbandigioni,
Scorra amico all’umil tetto,
Faccia il desco poveretto
Più ridente oggi apparir.
Lunge il grido e la tempesta
De’ tripudi inverecondi:
L’allegrezza non è questa
Di che i giusti son giocondi;
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno
Della gioia che verrà.
Oh beati! a lor più bello
Spunta il sol de’ giorni santi;
Ma che fia di chi rubello
Torse, ahi stolto! i passi erranti
Nel sentier che a morte guida?
Nel Signor chi si confida
Col Signor risorgerà.
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