SPERMATOZOI E OVULI, DA DONO DIVINO PER IL PIACERE E LA RIPRODUZIONE DEGLI UOMINI, A COSTOSI PRODOTTI.

“Volevo farlo come un dono di una madre a suo figlio”: con queste parole Cecile Eledge, la donna di sessantuno anni che ha dato alla luce sua nipote, ha commentato la nascita della piccola Uma Louise Dougherty Eledge. Una bimba concepita in vitro e messa al mondo da sua nonna nello stato americano del Nebraska. Lo voleva per conto del figlio Matthew, un giovane gay sposato con Elliott Dougherty. La piccola Uma è la prima bambina al mondo partorita da sua nonna, con una fecondazione artificiale che ha coinvolto anche la sorella di Elliott Dougherty.
La coppia gay ha pensato di tentare la fecondazione in vitro per avere un figlio anche perché i due uomini temevano di non ottenere il permesso di adottare un bambino nel loro Paese. Matthew – scrivono i media americani – aveva anche perso il lavoro di insegnante in una scuola cattolica del Nebraska dopo aver annunciato il suo matrimonio con un uomo. Così la sorella di Dougherty, Lea Yribe, ha donato i suoi ovuli ed Eledge lo sperma, in modo che il nascituro avrebbe avuto il materiale genetico da entrambe le parti della famiglia. E Cecile, la nonna della bambina, si è offerta di portare a termine la gravidanza, dopo che i medici avevano accertato il suo ottimo stato di salute.
Qui, non vogliamo osare di mettere in discussione tutto l’apparato dogmatico dei cosiddetti “diritti” (cioè la progressiva, apparentemente inarrestabile omosessualizzazione delle società “occidentali”): chi segue L’Ortis sa come la pensiamo; la ripetizione sarebbe pedante, monotona, patetica. Vorremmo piuttosto soffermarci sull’agghiacciante insegnamento di questa notizia, che si presta a essere una specie di parabola del disfacimento etico che stiamo vivendo.
Il punto di partenza è: una mamma vuol fare un regalo al figlio, per l’amore che prova verso quest’ultimo o per ignoranza della stessa, questa non si limita ad un SUV, o ad una vacanza, no, questi doni lasciano il tempo che trovano: i valori della vita sono altri. Quindi, perché non regalargli un figlio? E come fare? Nel modo più radicale: facendosi impiantare dopo una imbottitura di ormoni lo sperma del figlio suo (in vitro?). Il problema è però a quel punto, che l’ovulazione, nonostante tutte le diavolerie della genetica, in una donna che chissà da quanti anni, non è più feconda, è proprio impossibile, ed allora all’impresa si unisce la cognata di Matthew mettendo a disposizione i propri ovuli.
Morale della favola. Tutto ciò che è tecnicamente e scientificamente fattibile, si fa; alla faccia di tutti gli “interrogativi etici” cui i mass media accennano come in una riunione di condominio si sopportano i soliti rompiscatole. Non vi è ormai argine non dico alla remora, allo scrupolo, ma neanche al dubbio, alla sana esitazione: semplicemente, si fa quello che la tecnica ci consente mettendo mano al portfaoglio, i tormenti del dottor Frankenstein e il suo pentimento sono ormai “cose di altri tempi”. L’incesto (“naturale” o “tradizionale”) o 2.0, comunque sia andata, è solo un trascurabile dettaglio. Che una mamma sia anche nonna è solo un trascurabile dettaglio. Vi è un accanimento quasi sadico verso tutto ciò che una volta era detto la “procreazione”, ormai al livello di un bellissimo gadget.
Ma famose a capì, come si direbbe a Roma: se uno dei coniugi gay (Matthew) si fosse sforzato di una sana relazione extraconiugale non lesinando spermatozoi in abbondanza al posto giusto nelle parti basse della cognata, non sarebbe stato tutto più semplice, naturale, e persino economico? Oltrettutto, Lea Yribe, dalle foto, mi sembra pure una bella ragazza…..Ma sarebbe stato tutto troppo naturale, tradizionale, “troglodita”.
ANTONIO MARTINO
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