I MORTI COME NAVALNY SANNO SOLTANTO UNA COSA: CHE È MEGLIO ESSERE VIVI … PERCHÉ TANTO POI CI SONO GLI SCIACALLI CHE FANNO TUTTO IL RESTO …
In merito alla morte di qualsiasi individuo, indipendentemente dalle idee o opinioni che si possano avere su di lui, è imperativo esprimere massimo rispetto e intransigente pietas cristiana.
Questo principio dovrebbe valere anche e soprattutto per Alexander Navalny, l’ormai noto oppositore del Presidente Putin, deceduto in circostanze ancora da chiarire presso un carcere di massima sicurezza in Siberia.
Al netto delle buone intenzioni, la strumentalizzazione che l’Occidente sta facendo del suo dramma personale in questi giorni ha veramente dell’incredibile, se non addirittura del vergognoso.
Infatti, in un puro esercizio di logica e non per mera difesa ad oltranza dell’immagine del Presidente Putin, ci si renderà conto di come la morte di Navalny, in questo momento storico, sembra essere utile solo ed esclusivamente, a Biden ed ai suoi sodali:
- Un mese dopo l’inizio della “rivolta dei trattori” contro le politiche europee e il crollo del prezzo dei cereali a causa dell’invasione del grano ucraino nel mercato comunitario;
- Otto giorni dopo l’intervista di Putin con Tucker Carlson nella quale lo Zar si era detto pronto a “trattare con gli Usa sull’Ucraina”;
- Il giorno prima della conquista, da parte russa, dell’importante città piazzaforte di Adviinka, nel Donec’k, che ha segnato la fine delle munizioni per il grosso dell’esercito ucraino;
- Due giorni prima della dichiarazione del presidente Putin alla TASS con la quale “la Russia si è detta pronta a porre fine pacificamente al conflitto in Ucraina”;
- Esattamente ad un mese dalle elezioni per il rinnovo alla carica di Presidente della Federazione Russa.
E come al solito, i più “stupidi della compagnia” sono i primi a blaterare ed a farsi vedere quali fieri alfieri delle cause perse, cioè, nello specifico, delle ragioni della NATO.
Così, un personaggio in cerca di consensi per le europee come Calenda è riuscito a portare quasi tutti in piazza per Navalny e contro la gestione politica di Putin come se, quest’ultimo, non fosse un Capo di Stato di una Superpotenza con la quale, ufficialmente non siamo in guerra e che, piaccia o non piaccia, rappresenterà pur sempre una delle due parti in campo nelle eventuali trattative di pace che prima o poi ci saranno.
Ma d’altronde cosa possiamo pretendere da questi politicanti se anche un leader mondiale come Biden che, per quanto possa essere discutibile, non poteva in alcun modo comportarsi come un elefante in una cristalleria ed invece così ha fatto asserendo che: “Putin dovrà pagare un prezzo altissimo per la morte di Navalny”.
Una dichiarazione, quest’ultima, che se fosse stata fatta seguendo i vecchi canoni classici della diplomazia sarebbe di sicuro valsa come casus belli, cosa che tra l’altro l’Occidente, in barba alla volontà e desideri della propria gente, prima invoca a gran voce e poi prepara con sadica determinazione.
Insomma facciamo sempre, come nostro solito, di due pesi due misure.
Navalny è morto in detenzione dura e secondo noi Occidentali in un regime antidemocratico, peccato poi, che sempre stando alla nostra vulgata, questo regime antidemocratico ha permesso al detenuto in questione, di esprimersi in più di un occasione tramite il social “X!”, come il famoso post del 14 febbraio di quest’anno, dove, l’oppositore di Putin, postò il seguente pensiero: “Tesoro, con te tutto è come in una canzone: tra noi ci sono città, luci di decollo di aeroporti, tempeste di neve blu e migliaia di chilometri. Ma sento che sei vicino ogni secondo e ti amo sempre di più”.
Peccato, però, che, in Italia, non il Totò Riina di turno, ma neanche il semplice detenuto di una Casa Circondariale, possano, secondo il Decreto Legge 21 ottobre 2020, n. 130 (c.d. decreto sicurezza bis), usare cellulari o social, indi per cui delle due è l’una: o il sistema carcerario russo, anche nelle sue forme più restrittive non è così antidemocratico, o i Twitt fatti da Navalny durante la propria detenzione, benché spacciati per propri, in realtà sono stati lanciati da un ufficio di comunicazione apposita e quindi falsificati ad arte ad uso e consumo della propaganda anti Putin.
Allo stesso modo, in queste ore, sempre per logiche di puro relativismo, ad ovest del fiume Dnepr, a nessuno sembra importare della sorte di Julian Assange, il dissidente australiano, promotore del sito web WikiLeaks, dal quale, nel 2010, fece trapelare notizie compromettenti in merito alla guerra in Afghanistan, alla guerra in Iraq, ed al CableGate, e per i quali, oggi, gli Stati Uniti chiedono, al Governo Britannico, l’estradizione di Assange imputandogli ben 155 anni di galera e quindi la morte sicura, come infatti teme la moglie, Stella Moris.
D’altronde come ebbe a dire il “Soldato Joker”, in “Full Metal Jacket”, “I morti sanno soltanto una cosa: che è meglio essere vivi”.
Lorenzo Valloreja
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