JOE BIDEN SEMPRE PIU’AFFOSSATO DAI SOSPETTI DI DECLINO MENTALE: STAVOLTA MESSI NERO SU BIANCO DA UN PROCURATORE FEDERALE.
Paradossalmente, il proscioglimento di Joseph Robinette Biden Jr detto Joe dall’imputazione di indebiti detenzione e trattenimento di documenti classificati (risalente alla sua vicepresidenza) ha avuto un clamore in negativo forse superiore, o peggiore, di una sua scampata condanna.
Nel 2017 a fine vicepresidenza, infatti, avrebbe depositato nel garage di casa sua (deposito molto casalingo e artigianale) diversi documenti top secret sulla guerra in Afghanistan. Di sicuro una cosa non pertinente al massimo di senso dello stato e furbastra (questo materiale può valere oro in future consulenze o comunque consente peso politico nel main stream anche a fine mandato), ma presumo che non sia un arbitrio sconvolgente non solo nella prassi delle presidenze e vicepresidenze statunitensi bensì pure in altri ordinamenti.
Sta di fatto che l’accusa fu paritetica e ritorsiva verso quella, del tutto analoga, che costò a Donald Trump una scandalosa perquisizione domiciliare della sua sfarzosa residenza in Florida.
Il procuratore federale speciale Robert Hur ha derubricato le accuse contro Biden a una specie di illecito deontologico; una sorta di favore che in realtà agevola il tycoon dato che per la vicenda sua, ben difficilmente, creatosi il precedente, si potrà giudicare diversamente. E una grana giudiziaria in meno, per Trump, è sempre meglio che una in più.
Ma a prescindere dall’indiretto precedente agevolativo per il candidato a una storica seconda nomination repubblicana non consecutiva, le considerazioni del procuratore Robert Hur hanno minato, forse con difficilissima rimediabilità, la credibilità umana e professionale di Biden. Dando un sigillo ormai istituzionale alla problematica delle generali condizioni neurologiche e psico-fisiche di costui: relativamente, in particolare, alle capacità mnemocognitive (Biden, insomma, cadute e strane affermazioni a parte secondo molti, non semplici gaffes, sarebbe un anziano smemorato purtroppo destinato, come tutti, a peggiorare soltanto).
E Hur ci è andato pesante, anche con una affermazione così tale sul piano personale da apparire, persino a me, un po’ estrema e non del tutto appropriata: Biden non ricorderebbe neanche la data della morte del figlio Beau. Effettivamente un po’ troppo per un presidente degli USA, anche se ammirevolmente dimostrativo dell’assoluta libertà dei contrappesi istituzionali in America lontana anni luce dai patti di non aggressione non scritti e dall’ untuoso “rispetto per le istituzioni” dalle parti nostre non solo “verticale” (dal basso verso l’alto) ma anche “orizzontale” (fra le istituzioni, o vertici di regime che dire si voglia stessi).
Insomma. Nella sera italiana di giovedì, in una Casa Bianca colpita al cuore della sua credibilità e su decisione di uno sdegnato Biden, con una tempistica inedita per la fascia oraria, il presidente in persona ha affrontato una conferenza stampa in cui ha rintuzzato con stizzito orgoglio le considerazioni di Hur, soprattutto quella sulla morte del figlio. Salvo però, prestare il fianco alla ennesima insinuazione sulla chiarezza e attendibilità della sua mente, definendo l’egiziano Al Sissi presidente del Messico.
Oggi lunedì, lanciando un ambiguo segnale, la vicepresidente Kamala Harris, si è detta “pronta a servire” (in un secondo mandato vicepresidenziale, o da prima donna presidente degli USA?).
A. Martino
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