NO ALLA POLIZIA DEI SENTIMENTI NELLE SCUOLE, SENZA SE E SENZA MA. E NON GIRIAMOCI ATTORNO.
Dal blog di Maurizio Blondet (che ha a sua volta per fonte una lettera inviata a Tempi) riporto lo sfogo di “un insegnante”.
Per la verità le mie idee in materia sono più tranchant e semplici. Senza scomodare il sommo Stanley Kubrick o voli pindarici sull’ultima tragedia caucasica. Ovvero, un netto no alla creazione di una ulteriore branca della orwelliana “polizia del pensiero”, estesa persino alla “affettività” e ai “sentimenti”: dopo aver distrutto il Sacro e la trascendenza, stanno passando anche all’intimo, immanente ma pure sempre intimo, dei nostri figli. Basta: meglio “incapace di gestire una relazione” che indottrinato sull’amore (ripeto, indottrinato sull’amore) da un estraneo, pagato con le tasse dalla propria famiglia e incaricato di inficiare l’educazione che essa impartisce. Per i refrattari a certi concetti, ovvero nuove parole d’ordine come “patriarcato” o “relazione tossica” o “empatia”, come la si metterà? Una bella convocazione dei genitori in questura, l’interessamento dei servizi sociali con relativa perdita della potestà genitoriale? Perchè il vero cancro qui, è la famiglia del maschio, o no? E alla fine, poi, il tutto avrebbe l’inevitabile corollario dell’indottrinamento LGBt, o no?
La suora tra gli abortiti “garanti”? Un classico specchietto per le allodole tipicamente modernista, postcattolico e in classico stile bergogliano. Il presidente del senato Ignazio La Russa amico della “garante” in quota LGBT, scoperto così sorprendentemente “evoluto” e “aperto”? Come si dice volgarmente proprio dalle parti del senato, ” sti…zi”.
Comunque sia, ora mi zittisco e cedo la parola a chi la scuola, da docente, la vive quotidianamente. Pur se, ripeto, le cose stanno molto più semplicemente. Certo, mi rendo conto che un pubblico ufficiale, persino nell’anonimato, non riesce a essere esplicito più di tanto per una sorta di condizionamento inconscio: ricordate la funzionaria di polizia cacciata dopo aver parlato dei vaccini?
A. Martino
“Nel giorno in cui le scrivo questa lettera, il ministro dell’istruzione Valditara ha comunicato l’annullamento delle nomine a Paola Concia, suor Anna Monia Alfieri e Paola Zerman al coordinamento del progetto “Educazione alle Relazioni”, un percorso sperimentale di 30 ore extra-curriculari, attivabile su base volontaria, che però ha un contenuto che non mi sembra affatto chiaro.
Con
una dinamica divenuta ormai prassi, il dibattito odierno si è già smarrito
nella solita selva dell’“Al lupo! Al lupo!” su nomine al coordinamento di un
progetto educativo di cui nessuno ha ancora capito davvero niente.
Visto che il contenuto del progetto è
tutt’altro che chiaro, si potrebbe però partire dall’unico punto fermo della
faccenda: non è obbligatorio, ma “attivabile su base volontaria”. Mica tanto. A
seconda del successo del progetto infatti (ma che vuol dire?!), è già valutata
la possibilità di renderlo obbligatorio in tutte le scuole superiori. Da qui
dunque, una certa urgenza a fare chiarezza.
Ho provato a leggere la direttiva dello scorso 24 novembre, con cui il ministro ha comunicato ufficialmente l’avvio del progetto, ma, ahimè! non ci ho capito niente. Più che un piano educativo, a dire il vero, mi è sembrato un documento aziendale, uno di quelli messi insieme dalla sera alla mattina, con cui di solito gli uffici risorse umane delle succursali cercano di attuare le nuove policy della casa madre (senza averci capito niente). Periodi lunghissimi, zeppi di elenchi, che finiscono in nulla; corollari metodologici e studi di fattibilità; dovizia di cifre sui finanziamenti; ma di contenuto critico e culturale neanche l’ombra.
Sospetto però che tale mancanza sia inevitabile. Per quel poco che ho capito, infatti, tra i desiderata di questo progetto ci sarebbe quello di “rendere edotti sulle conseguenze dei propri comportamenti, al fine di evitare la violenza”. Che è esattamente quello che una vera educazione umana non fa. Non si educa mai, infatti, ad evitare il male, ma, semmai, ad amare il bene. Non si guarda alle ingiustizie della storia per impedire meccanicamente che si ripetano, ma per far crescere l’amore alla giustizia e il desiderio di rimanervi attaccati, anche quando tutti si voltassero da un’altra parte. Come diceva Antonia Arslan, di recente, in un incontro sull’evacuazione coatta del Nagorno Karabakh (eccola una tragedia taciuta e avvenuta solo un mese fa, sotto gli occhi di tutti), «ognuno deve scegliere: i giusti dei genocidi sono quelli che non si voltano dall’altra parte. L’uomo non può dire “questa atrocità non succederà più” perché non è nelle sue forze impedire il male, ma gli spetta, piuttosto, di decidere di non guardare dall’altra parte».
Chi dovrebbe impedirci il male dunque? Un progetto dello Stato? Vogliamo metterci le pinze sulle palpebre per guardare quanto è brutto il male, fino a pervenire a uno stato di nausea perenne? Ma chi la guida la baracca, Kubrick?
Questo non significa che i tempi non siano maturi per un ripensamento critico e sistematico del modo in cui si comunica, attraverso l’educazione, la positività che si vive nella propria esistenza. Siamo certamente di fronte a sfide grandi e decisive, che non possono farci stare mai tranquilli. Mi sono perso qualcosa o questo tema è stato completamente scavalcato e stiamo già litigando su chi debba coordinare il carrozzone? Vale la pena scommettere sulla valorizzazione intrinseca di ciò che a scuola già accade (o può accadere), o ci siamo già arresi all’inevitabilità di soluzioni tecniche estrinseche, che mettano a tutti la coscienza a posto?”.
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