IL NON INCREDIBILE CASO DEL GIOIELLIERE MARIO ROGGERO. CRONACA ORDINARIA DI UNA REPUBBLICA NON DI CITTADINI MA DI SUDDITI.

Ancora più che nel mio L’OBBLIGATORIETA’ DELL’AZIONE PENALE E’ UNA LEGGENDA METROPOLITANA del 16 gennaio scorso in cui il lettore dovette pur sempre sorbirsi qualche tecnicismo in materia di archiviazione, notizia di reato etc., nel caso della condanna in primo grado del gioielliere di La Morra (CN) Mario Roggero a 17 anni per aver ucciso due rapinatori ferendone un altro, tenterò di non indulgere a strette giuridicità e tecnicismi. L’imputato è stato, oltretutto, condannato a una provvisionale di risarcimento per entrambe le famiglie ammontante a quasi mezzo milione di euro.

Analizzerò la pronuncia giudiziaria da un punto di vista umano e politico (nel senso di rilevanza per la comune convivenza, la politica stricto sensu la lascio ai posts salviniani in materia). A proposito: noto una certa contraddizione dalle parti leghiste (questa davvero politica) fra l’esaltazione dell’operato delle forze dell’ordine (a prescindere da tutto, senza se e senza ma) e una certa poetica alla bronsoniano Giustiziere della notte. Infatti, se i nostri territori fossero adeguatamente tutelati e presidiati, non ci sarebbe bisogno di autodifendersi, anzi la magistratura non sarebbe chiamata a fare il proprio lavoro. E se si evitasse di plaudire a qualunque atto di forza dei rappresentanti dello stato perché tanto “era un drogato” se non “un verme”, forse, qualcuno non equivocherebbe credendosi legittimato ma (errore gravissimo) senza una divisa.

Mario Roggero, che sta vivendo una stagione personale straordinariamente drammatica e oscura e a cui vanno i nostri incondizionati auguri di uscirne totalmente immune e a testa alta, sta portando in un certo senso la croce di diversi aspetti dell’italianità in questo primo quarto di secolo.

Ovvero e in sintesi, l’essere suddito dei propri stipendiati. E sì, sono consapevole della impegnatività concettuale di questa affermazione: ma anche quello che è ormai definibile il caso Roggero dimostra che in troppi casi, laddove sia particolarmente sentita sulla propria pelle la richiesta da parte di un cittadino onesto, di vicinanza e sostegno o almeno di non accanimento, l’apparato poliziesco-giudiziario segue altre logiche, altre narrazioni, altre sensibilità.

Allo stesso modo e al contrario, laddove si attenderebbe giustizia in nome di propri cari, questa o è negata o gli insabbiamenti e ostacoli al suo percorso provengono soprattutto da organi dello stato, o quanto meno sono alcuni pezzi di essi che li rendono possibili. Vi è una distanza incolmabile, un muro di gomma contrastante tremendamente con tutta la retorica dei “valori repubblicani” o della “democrazia liberale”. Basti pensare al caso di Elisa Claps o a quello di Manuela Orlandi (per quanto non di competenza vaticana), ma anche a quello di Simonetta Cesaroni. Per non parlare del volo su Ustica, che certo non rende la Prima repubblica immune dai vizi della Seconda.

Ma qui rischiamo di divagare. Diciamo piuttosto che nel caso Roggero, due sono gli elementi della pronuncia giudiziaria semplicemente raggelanti specialmente perché in sinergia tra loro, e non mi si venga a predicare, in entrambi i casi senza alcuna base legale, di “attendere le motivazioni” o più fanaticamente che “le sentenze non si commentano ma si eseguono”. Eseguite quanto volete (per fortuna, in Italia, senza gli appositi plotoni), ma commenterò senza insultare nessuno, astenendomene solo quando avrò…. tolto il disturbo come tutti, a Dio piacendo il più tardi possibile.

Ebbene, i due elementi sono la durezza della pena irrogata congiuntamente alla entità del risarcimento. Teniamo presente che Roggero, anni fa, subì un’altra rapina con relative lesioni fisiche e che, in fondo, si faceva i famosi fatti suoi nella propria azienda e luogo di lavoro.

Mi rendo conto parimenti e oggettivamente quanto cristianamente, che parliamo anche di due esseri umani che, pur sbagliando, non meritavano in astratto di fare esattamente quella fine, e che a Roggero certamente la misericordia non abbonda a giudicare dai suoi commenti (ma essa è come il manzoniano coraggio a proposito di don Abbondio, se uno non l’ha non può darsela). E non possiamo sottacere che una delle “armi” usate da costoro era (classicamente grottesco in queste tragedie) una pistola giocattolo.

Ma il tutto mi apparirebbe in diversa luce se la pena detentiva fosse stata minore, o se al contrario, a quei diciassette anni si fossero accompagnati, che so, non più di settantamila euro di risarcimento a ciascuna delle famiglie.

Ma sapete quale sia il criterio fondamentale del risarcimento agli eredi della vittima dell’evento estremo? Il danno morale e biologico c’è indubbiamente, ma determinante è la perdita della fonte di reddito: se si uccide in un “omicidio stradale” un operaio edile o uno studente o un pensionato, non è ahimè come provocare il venire meno di un alto funzionario ministeriale o uno dei principali avvocati italiani. Scusate, ma questo reddito, nel caso di uno che se ne va in giro a rapinare gioiellerie o magari banche con pistole giocattolo o non, da quale 730 o Unico redditi persone fisiche lo hanno desunto? Forse, non è vero affatto che “il delitto non paga”?

Francamente, mi appare palese una certa logica da “colpirne uno per educarne mille”. Educare a cosa? Beh, potrei fare l’ennesima predica sull’ invadenza statale nella vita del singolo e della famiglia, sull’ideologia del cittadino inerme e a tutto rassegnato, traete le conseguenze che volete, ma l’esperienza americana ci insegna un fatto molto semplice; gli USA sono ancora più o meno, nonostante ogni Pensiero Unico, una vera repubblica delle libertà. I tentativi radical chic di disarmare la gente decisa a difendere casa, lavoro e familiari oltre che la propria stessa pellaccia, sono infruttuosi nonostante qualunque atto di follia del singolo.

Negli States sarebbe delirio totale denunciare per “esplosioni pericolose” un signore che ha semplicemente messo in fuga giorni fa degli intrusi nella propria dimora utilizzando un’arma regolarmente denunciata. Ecco un caso in cui sono costretto ad essere filoamericano.

A. Martino

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