VIVA LA CINA? NO, GRAZIE.
“La nuova Via della Seta”. Un nome indubbiamente poetico, evidentemente coniato da non so quale italiano amico della Cina e legittimo patrocinatore degli interessi del colosso asiatico, riecheggiante nientemeno che la mitica impresa (e opera letteraria) del viaggiatore-mercante veneziano. Più prosaicamente e concretamente, parliamo della “Belt and Road Initiative”, con cui la Repubblica popolare cinese intende sostanzialmente penetrare nel tessuto produttivo e finanziario europeo più o meno come un coltello nel burro. Le vesti stracciate delle istanze euroatlantiste ( i soliti Juncker, Tusk ecc.) oltre alle velate minacce americane non devono far perdere di vista un dato molto banale: cioè che la Francia macroniana e la Germania merkeliana hanno già interscambi con la Cina ben superiori al valore dei pur imponenti accordi che il lider maximo cinese ha oggi siglato. Il vero scandalo sta piuttosto nel fatto che una volta tanto, ma pesantemente, l’Italia ha fatto di testa propria rischiando di oltrepassare la fatale linea della disciplina eurocratica ed atlantista.
Ci si è messa una pezza rinnovando le solite professioni di fede nell’immutabile, trascendentale “collocamento internazionale” dell’Italia con “bollinatura” del Presidente Matterella (ancora una volta assorda il silenzio del ministro competente Moavero Milanesi, che genera il sospetto di essere una specie di prestanome istituzionale), ma la frittata (di pessima riuscita o di alta cucina solo il tempo lo dirà) è stata fatta. Da oggi gli italiani sono, oggettivamente e che piaccia o no, un tantino con gli occhi a mandorla.
Molti sovranisti esulteranno, anche tra noi de L’Ortis: il sottoscritto, francamente, no; anzi ritiene che vendere porti o aziende strategiche possa pure far cassa, allo stesso modo di quelle grandi famiglie aristocratiche che hanno liquidato le loro magnifiche, secolari magioni per vivere tranquillamente di rendita in attici e super attici di prestigio con tanto di Ferrari e maggiordomo ma uscendo dalla Storia, dimenticando che significhi “gloria” e rinunciando a qualunque progetto sul futuro della loro terra e del loro popolo. Stiamo commettendo un drammatico errore di ampiezza quasi eguale all’entrata nell’euro, e il governo giallo-verde, purtroppo e oggettivamente, ci mette la firma entusiasta come ogni governo italiano quando la fa grossa. Cronache di ordinario declino, insomma.
Come non ricordare che, a monarchia imperiale ormai crollata e ancora negli anni della repubblica nazionalista, la Cina con le sue “capitolazioni” vedeva di fatto colonializzati larghi pezzi di economia e territorio stesso (basti pensare alla “nostra” Tien Tsin). Miracoli della straripante demografia da quasi un miliardo e mezzo di persone?
Anche, ma non solo. Alla base vi è in realtà una precisa scelta di campo non solo dell’Italia ma dell’Europa antitrumpiana, che infatti aldilà del gioco delle parti di cui parlavamo, si precipita a indire un summit tra Merkel, Macron, e Xi Jinping. Questa Europa è così antitrumpiana da non aspettare l’eclisse di Donald Trump per le conclusioni del Russiagate o al più tardi alle elezioni del prossimo anno, per buttarsi nelle braccia del colosso un tempo dormiente e temuto da Napoeone. E’ la Cina il suo partner ideale non solo per la potenziale inesauribilità quantitativa del suo mercato, o per la sostanziale inesistenza dei diritti dei lavoratori (altro che abolizione del famoso articolo 18…!). La Cina, con la sua bella bandiera rossa da festival de L’Unità e il suo partitone unico comunista di nome e ferocemente capitalista di fatto, si appresta a controllare minuziosamente ogni suo cittadino dotandolo di una specie di patente a punti, grazie a una spaventosa panoplia di hackeraggio di stato, milioni di telecamere e schedature di consumi, opinioni, abitudini tracciate dalla Rete. Qualunque religione (anzi superstizione per Pechino) è tollerata a malapena e considerata una specie di associazione a delinquere, anche se il fantastico Vaticano bergogliano ha buttato a mare una non irrilevante Chiesa del silenzio e della persecuzione in cambio del piatto di lenticchie di qualche proprietà a suo tempo confiscata dal Grande Timoniere Mao.
Il Tibet è ormai piegato; etnicamente, culturalmente, religiosamente, insomma antropologicamente, la terra dei bonzi e del Dalai Lama è scomparsa come ormai lo è la vera Italia. Il nostro potere, che farfuglia appena qualche cosetta in materia di diritti umani tanto per una questione di stile, guarda alla Cina perché in fondo, per tutti noi, auspica un futuro da cinesi: lavoro, produzione, Pensiero Unico e pochi grilli per la testa.
Ecco che la russofobia, il tentativo di confinare la Russia nel ghetto degli “stati canaglia” è logico: come si potrebbe mai portare acqua al mulino dello “Zar” Putin cioè dell’ultimo grande statista occidentale ed europeo autore di una geniale sintesi tra la Russia della “terza Roma” e il “paradiso dei lavoratori”? E poi, tutti quei segni di croce e i pope al seguito delle truppe, le fabbriche che non possono chiudere se Vladimir Putin lo vieta…che orrore! Questa è l’amara realtà, cari amici russofili immaginari: tra il Drago e San Giorgio, anche voi avete scelto, pur tra qualche mugugno, il Drago.
Antonio Martino
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