IMPORTANTE RIFORMA COSTITUZIONALE (E ISTITUZIONALE) AL NASTRO DI PARTENZA. MA SE CE LA FARA’, ESISTERA’ ANCORA UN’ ITALIA IN QUALCHE MODO INDIPENDENTE?

Sembra che, alla fine, ci siamo. Venerdì tre novembre, il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità un disegno di riforma costituzionale che dovrebbe instaurare in Italia il premierato (lemma che è un brutto ibrido anglofrancoitaliano), in base al quale, contestualmente all’ elezione di entrambe le Camere, andrà eletto anche il futuro capo del governo (il cosiddetto premier, appunto). Significativo che costui non potrà non essere un parlamentare: quindi, anche un novello potenziale Andreotti o Craxi o Cavour, qualora anche parlamentare uscente, se “trombato” volgarmente parlando, non potrà guidare il governo. Basti pensare al caso del buon Luigi Di Maio (il mitico “bibitaro” di Vincenzo De Luca).

Il tutto si distingue dal presidenzialismo, o di stampo americano (il Presidente non ha alcun nesso fiduciario nei confronti del parlamento e nomina il suo governo o ne revoca membri, il discorso legislativo è poi tutt’altra cosa) o di stampo francese (il Presidente ha sì l’investitura popolare ma ha bisogno della fiducia parlamentare perché il “suo” governo, primo ministro compreso, possa funzionare).

Secondo la riforma “madre di tutte le riforme” creatura di Giorgia Meloni, anche i ministri sono nominati e revocati dal capo del governo, senza alcuna interazione con il Presidente della Repubblica. Abolizione dei senatori a vita.

Evidente il ridimensionamento dei poteri del Colle più alto, che di sicuro non potrà più andare ad estrarre il mominativo del capo del governo in un albo professionale (come nel caso dell’avvocato Conte), o in quello più impalpabile delle “risorse della Repubblica” (Draghi o Monti). Abbastanza verosimili quindi, le voci che darebbero un Sergio Mattarella alquanto irritato (quanto impossibilitato a dire la propria per ovvia correttezza istituzionale), e determinato a dimettersi se alla fine il tutto, superata la doppia votazione in entrambe le Camere e anche il referendum confermativo senza quorum, dovesse diventare realtà.

Una riforma per nulla disprezzabile, sicuramente fattore di stabilità e serietà, nonché efficacia ed efficienza di parlamento e governo, altro che “pericolosa deriva autoritaria”, ma per favore.

Ma rischia di arrivare storicamente e inutilmente tardi, qualora la liquefazione della sostanza della repubblica italiana nella U.E. dovesse ulteriormente progredire (basti pensare alla ratifica del MES sollecitata praticamente a giorni alterni). A mia modestissima opinione, sarebbe stato quindi meglio, constatato per tutta una serie di motivi il fallimento repubblicano, anche semplicemente abolire l’articolo 139.

A. Martino

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