ADDIO A “RE” GIORGIO NAPOLITANO, “SUPREMO GARANTE”. MA DI COSA, E NEI CONFRONTI DI CHI ? NOI DE L’ORTIS ABBIAMO IL CORAGGIO DI DIRE CHE NON SIAMO PER NULLA ADDOLORATI, E VI SPIEGHIAMO PERCHE’.

Oggi mi capita di leggere sulla stampa main stream affermazioni più o meno rituali quali “la politica ferma per Napolitano”: fenomeno tutto coerente e per nulla inedito, se si pensa a come il caro estinto riuscì a piegare cosiddetta destra e cosiddetta sinistra ai suoi desiderata imponendo ben tre governi di nomina regia (pardon presidenziale), con ciò suscitando, sempre da parte della stampa vergognosamente servile il nomignolo (affettuoso e adulatore, mica critico, ma scherziamo…) di Re Giorgio (vagamente malizioso per i pochi che ne coglievano la sfumatura piccante). E infatti stava proprio bene a chi, forse, era figlio illegittimo dell’allora Principe di Piemonte Umberto di Savoia (futuro re Umberto II). Costui lo avrebbe concepito con una delle tante dame di corte o comunque signore dell’aristocrazia e dintorni gravitanti attorno ai reali sabaudi durante  gli abbastanza frequenti soggiorni campani. Forse , il suo un po’ imprevisto omaggio alla tomba di Vittorio Emanuele II (quella reale al Pantheon, non il mausoleo all’Altare della patria) per i 150 anni dell’Unità, era atto dovuto verso le spoglie dell’augusto antenato?

Ovviamente, sono tutte “stupide chiacchiere”. Sta di fatto però, che l’illustre vegliardo quasi centenario per la cui scomparsa anche in Fratelli d’Italia, dove ormai regna piena correttezza politica e attenzione a parole fuori posto, si indossano cravatte e bottoni neri, e velette nere con abito in tinta, aveva un portamento elegante come Umberto (peraltro dall’imbarazzante e poco virile soprannome torinese “stellassa”), longilineità, una non scarsa somiglianza nei tratti. Ah come sarebbe stato bene in uniforme Re Giorgio (ovviamente nell’uniforme dell’esercito repubblicano satellite Nato).

Ma andiamo per ordine cronologico e più storico.

Napolitano, come a osservare un dignitoso periodo sabbatico, aderì al partito comunista nel 1945: il suo esordio politico e intellettuale fu nel GUF (gruppo universitario fascista). Diciamo che tra il 1943 e il 1945 si guardò intorno e solo a guerra ormai irrimediabilmente persa, se non terminata, preso atto di quello che sarebbe stato, più che un nuovo ordine, una mutazione antropologica che avrebbe seppellito la metafisica e le idee “troppo forti”, fece la sua scelta: troppo ateo per essere democristiano e troppo ambizioso per un partitino liberale o repubblicano.

Inutile qui, ripercorrere il suo essere, gradualmente, sempre più un punto di riferimento fondamentale per la neutralizzazione del PCI in direzione europeista e atlantista. Abbastanza clamorosa, la eccezione fatta dall’amministrazione USA alla sua indesiderabilità in territorio statunitense che gli consentì di incontrare il presidente Carter. Di certi personaggi, la storia ufficiale non riuscirà mai a sapere il perché di certe fulminanti, e all’apparenza eccentriche e disagevoli, carriere. Ambienti come le Logge o i servizi segreti, custodiranno ancora per chissà quanto, le spiegazioni (o semplicemente, basta qualche paginetta strappata da inarrestabili manine; se qualcosa è segreto lo è pure la sua scomparsa o distruzione, no?).

E non si dica che sono bieche insinuazioni complottiste: l’ “emerita” buonanima coltivava una spiccata propensione alla segretazione e la sua esperienza al Viminale (1996-1998), da questo punto di vista, fu come mettere un orso sotto un alveare grondante miele. Per quanto se ne sappia, le dichiarazioni prontamente segretate del pentito Carmine Schiavone sull’ interramento dei rifiuti tossici nella povera Campania (peraltro sua terra d’origine) avvengono, ma guarda che strana coincidenza, nel 1997. D’altronde, da presidente, a parte qualche pistolotto su pizza e mandolino e dintorni (la sua retorica, o meglio la sua impostazione teatrale erano magistrali ma non mi risulta che chiedano a Fiorello qualche ricordo), i corregionali che si aspettavano qualche chiarimento sulla “terra dei fuochi” furono amaramente delusi. Sempre a proposito del suo “vizietto” cioè la fabbrica dei segretucci, pregasi chiedere chiarimenti all’Ingroia avv. Antonino, che subì (allora pm palermitano) l’ordine dal CSM, sollecitato dal suo presidente ovvero il presidente della repubblica ovvero re Giorgio, di distruggere i famosi verbali delle conversazioni con Mancino (la cosiddetta trattativa stato-mafia).

A titolo di cronaca, il dott. Ingroia fu trasferito ad Aosta (nessuna punizione, ma certo) e infine lasciò la magistratura (molti lo ricordano ormai, piuttosto, per essere stato avvocato di Gina Lollobrigida).

I suoi più importanti atti da Presidente della repubblica italiana non sono stati da garante degli italiani, o forse sì, purché ciò non cozzasse contro gli interessi della Cupola euroatlantista. Da qui la lotta al centrodestra a trazione berlusconiana ancora troppo euroimprevedibile e diplomaticamente attivo, in ogni forma possibilmente ovattata ma la più micidiale possibile: diciamo che politicamente, usando una metafora fortemente noir, era un killer preferente il silenziatore, ma se necessario sparava senza, proprio per ammonire e dimostrare il suo potere.

Incredibile e veramente da protocollo ancient regime pur non disponendo di titoli nobiliari, la sua nomina a senatore a vita di Mario Monti, inutile e preparatoria esaltazione di un pupazzo del capitalismo globalista cui, qualche giorno dopo la liquidazione del Cavaliere con un mezzo colpo di stato in combutta con la Merkel e Macron e l’utilissima collaborazione della magistratura, avrebbe affidato d’imperio il governo. E allo stesso Berlusconi aveva imposto, mesi prima, l’assurda adesione italiana alla coalizione antilibica (uno stato comandato certo non da un santo uomo o da un premio Nobel per la letteratura, ma da Gheddafi che comunque il Cavaliere aveva legato a noi da un formale trattato di alleanza e riconoscimento reciproco di primari interessi economici). Dopo Monti, pur di evitare sgraditissime elezioni anticipate, si fece il bis con Enrico Letta e il tris con Matteo Renzi. Con Gentiloni, poi fu roba di Mattarella che in questo senso si limitò a ereditare la gestione della massima “magistratura repubblicana”, come si dice con pomposa terminologia classicista.

E infatti, la gestione ingiustamente definita “monarchica” (laddove stupidi repubblicani confondono monarchia con dittatura o intrigo di palazzo) raggiunse il suo apogeo quando una scialba e grigia folla di “grandi elettori” non riuscì a individuare un successore di Napolitano alla scadenza del suo mandato settennale. Per la prima volta un presidente della repubblica fu rieletto, sancendo la fase acutamente critica del Sistema. Evidentemente, il Quirinale era diventato così importante per la funzione di “garante” (ma per chi, e di che?) che non sanno più chi scegliere, per non rischiare di deludere qualcuno alle alte sfere mondialiste in questi tempi di sovranismo, populismo ed esiti elettorali sgraditi, ma ancora inevitabili e quindi da gestire con esperienza e “saggezza”. Così è stato anche nel 2022, con Mattarella, che a differenza di Napolitano dimissionario dopo due anni dalla riconferma, sembra avviarsi verso un felice quattordicennio (Giorgio VI del Regno Unito, a titolo di cronaca, regnò sedici anni (1936-1952) e l’ avo Giorgio IV “solo” dieci dal 1820 al 1830). Ma allora, già lo dicemmo, la carica più alta sia a vita, e facciamola finita con la commedia della spremitura di onorevoli meningi….

In conclusione, Giorgio Napolitano che per quanto mi riguarda avrebbe potuto vivere non novantotto ma centonovantotto anni, non ci mancherà per nulla se non nel timore che al peggio non vi sia prevedibilità e fondo. Non abbiamo alcun bisogno di recitare la commedia ipocrita del cordoglio cui è stato costretto addirittura e persino un Crozza. Non riesco nemmeno a prendere positivamente atto dell’estinguersi di costosissimi emolumenti (certamente non solo da senatore a vita, anche se probabilmente soggetti a reversibilità). E d’altronde, forse, il risparmio varrà solo un cannone in più per Zelensky.

A. Martino     

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