LA NUOVA IMMAGINE MEDIATICA DEL CLERO NELL’ERA MELONI
Don Antonio Coluccia e don Maurizio Patriciello sono due luminosi esempi di sacerdozio e di impegno civile e morale. Se ci fossero qualche centinaio, in Italia, di preti così, altro che “crisi della Chiesa”, “crollo delle vocazioni”, e così via. Preti e galantuomini. Innegabili le minacce ad entrambi, e un dato di fatto incontrovertibile, che il primo (religioso giustiniano), conduca una straordinaria attività pastorale di strada, che sembra proprio gli abbia fruttato un tentativo di investimento automobilistico da parte di un malintenzionato, durante la “marcia della legalità” il 30 agosto, a Tor bella Monaca. Solo la prontezza di riflessi di un poliziotto di scorta (il religioso da tempo è protetto), ha evitato il peggio.
La premier Meloni ha voluto, ed era il caso, riceverlo a Palazzo Chigi in un cordialissimo incontro.
Cordiale l’incontro anche a Caivano con don Maurizio Patriciello, accogliendo quasi immediatamente il suo invito a recarsi in una delle zone più difficili criminologicamente ed umanamente nel nostro Meridione, sull’onda dei gravissimi e indescrivibili abusi verso due sorelline. Don Patriciello ha anche esternato, a proposito, la sua richiesta di una stretta sulla produzione e diffusione della pornografia: segnatamente ma non solo, quella accessibile ai minori.
Fatte queste doverose premesse, dobbiamo però prendere atto, con una certa perplessità, di una sterzata dei media main stream italiani sulla narrazione “clericale” in senso stretto, cioè riguardante il clero.
Dagli ultimi anni di San Giovanni Paolo II passando per il tribolato pontificato di Benedetto XVI la questione dei “preti pedofili”, ha condizionato la percezione sociale della Chiesa (post)cattolica in un senso negativo, come raramente nella sua storia. E’ stato dato un peso singolare anche a fatti denunciati e risalenti, anche a venti o trenta anni prima, se non di più: in questo, anticipando le dinamiche del metoo. La pedofilia è in effetti un problema non nuovo per la Chiesa, anche se aggravato (o semplicemente amplificato ad arte) negli ultimi anni. L’ascesa al Soglio dell’ultramodernista papa Francesco, così gradito alla cupola globalista, non significò la fine di ciò, ma la pressione ha continuato come a tenerlo sotto schiaffo e a ricordargli, in caso volesse troppo “fare il papa”, i punti deboli e le falle della Barca di Pietro.
Per quanto concerne l’Italia almeno, il governo Meloni sembra aver inaugurato una embrionale restaurazione della dignità e di un minimo di residua autorevolezza del clero. Non tanto don Patriciello (che pure è soprattutto un parroco, non un semplice operatore sociale alla Ciotti o alla Mazzi e non ha le deviazioni politiche che aveva un Gallo), ma don Coluccia è un “prete-prete” con tanto di veste talare alla don Matteo.
Va tutto bene, siamo contenti che ci siano simili preti supportati al più alto livello politico-istituzionale.
Dà però fastidio, che agiscano nel sistema informativo “veline” di volta in volta dipingenti il clero come o irrimediabilmente corrotto o santificandolo. Narrazioni apparentemente inconciliabili, in cui l’una presuppone l’eclissarsi dell’altra senza sfumatura alcuna e dialettica tra diversi aspetti, paiono trattare l’opinione pubblica (è uno stato ormai assodato) come un bambino da manipolare secondo mutevoli esigenze politiche e giochi di potere.
In questo caso, probabilmente, un certo modello polacco funzionale al collocamento europeo dell’attuale esecutivo. E un messaggio a papa Francesco: pur nella convenzionalità che ormai “destra” e “sinistra” rivestono a uso e consumo delle rispettive tifoserie, non è a “sinistra” che la Chiesa (post)cattolica può costruire una sua sopravvivenza materiale e sociale.
A. Martino
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