PAPA FRANCESCO “FILORUSSO”? SOLO PER CHI E’ A CACCIA DI PAROLE DIFFORMI E NON OMOLOGATE

Dispiace un po’, giornalisticamente, dover inseguire più che i fatti, polveroni che si sprigionano sulla Rete,  ma tant’è: questo è il mondo di oggi. Mondo nel quale i collegamenti on line di Papa Francesco, sovente, riportano nelle parole pronunciate una differenza rispetto al testo scritto (testo scritto che svilisce qualunque discorso, anche papale, fino al livello di prodotto di segreteria particolare che l’interessato si degna di pronunciare ai reali destinatari tutti emozionati ma ultimi a conoscerlo).

Ebbene, nel suo discorso di venerdì in collegamento da “remoto” con i giovani cattolici di Russia (una specie di meeting di Rimini, mi pare di capire), papa Francesco ha detto, sconfinando dal testo burocratico, che i suddetti ragazzi sono “ eredi della Grande Russia di Santi, condottieri, di Pietro il Grande e Caterina II. Quell’impero grande e colto, di tanta cultura, di tanta umanità.” Oltre a vivi apprezzamenti sulla letteratura russa.

Sconcerto ucraino e del main stream. Sul Corriere della sera, addirittura, si paventa la fine di qualunque chance vaticana in materia di mediazione.  Da parte ucraina, si è anche paragonato chi ricorda l’immenso patrimonio culturale e letterario russo, a chi durante la seconda guerra mondiale faceva notare che i tedeschi erano un popolo di intellettuali e filosofi (anche se dalle parti di Kiev, non scarseggiarono certo gli estimatori del Terzo Reich, basti pensare a un certo Bandera).

Ma in effetti, questa osservazione è significativa nelle sue banalità, superficialità e capziosità. Di ogni popolo, a prescindere anche dagli ipotetici e soggettivi errori, la cultura e la statura intellettuale restano non scalfiti. Sarebbe stato un vero imbecille un professore di Oxford o Cambridge che avesse disprezzato la poesia di Dante Alighieri, o ritenuto Michelangelo una specie di street artist che si divertiva col marmo o con l’architettura, perché l’ Italia fascista aveva mosso guerra alla Gran Bretagna ; e allo stesso modo, lo sarebbe il sottoscritto se osasse ritenere i racconti di Edgar Allan Poe, o magari quei quarantanove di Ernest Hemingway “fantasie di ubriaconi” non solo per la propensione alcolica dei due sommi scrittori, ma anche e soprattutto, per il loro appartenere a un popolo il cui governo tiene una non gradita politica estera.

Il lascito culturale dovrebbe servire, e in qualche caso sortisce effetto, a ricordare di chi si è figli, e verso cosa dovrebbe tendere il proprio destino. Si stia sicuri, che nessun raffinato esegeta di Hegel (vedasi Martin Heidegger), o curatore accademico di Goethe, o raffinato letterato (ad esempio Juenger), o giurista tra gli ultimi davvero degni di tale qualifica (Carl Schmitt) può mai essersi macchiato le mani di sangue di ebrei od oppositori, ed anzi, laddove a lui possibile, sempre si adoperò per limitare per limitare o vanificare la violenza. I processi della cosiddetta denazificazione stanno lì a dimostrarlo.

Per favore, giù le mani dall’ utilizzo e consumo strumentali e sprezzanti della cultura e dell’intelletto.

Tutto ciò premesso, calandomi nelle menti dell’ortodossia atlantista a Pensiero Unico, mi sembra che l’allarme sia eccessivo. Si sopravaluta sia la effettiva autorità di papa Francesco, nei resti postcattolici di quello che fu il mondo cattolico; che la coerenza e rigore intellettuale del medesimo.

Riguardo il primo aspetto, i nostri lettori dovrebbero ben avere contezza di quanto, e quando, noi de L’Ortis (forse un tantino copiati da qualcuno ritenuto ben più autorevole) parlammo di postcattolicesimo e mettemmo tra virgolette il titolo papale. Sarebbe ridondante ricordare a quali livelli di modernismo reale si sia ormai arrivati; e quanto imponente ormai sia, in conseguenza anche di ciò, la secolarizzazione della società occidentale comportante anche una tendenziale non rilevanza delle posizioni di Oltre Tevere. Ma è anche vero che l’ossessione della totale omogeneizzazione del pensiero e delle opinioni dà pur sempre importanza alle parole di chi, sulla carta, sarebbe ancora il capo spirituale di una larghissima parte della popolazione mondiale.

Però, dovrebbero anche tener conto che quello che un tempo si sarebbe detto il Vicario di Cristo (titolo dismesso da papa Francesco) ha detto quel che ha detto con dei russi; avrebbe detto cose lusinghiere per gli ucraini parlando con degli ucraini. Non siamo assolutamente dinanzi a un emulo del beato Pio IX, che per una ferrea coerenza sul caso Mortara, diede un colpo forse determinante al potere temporale della Santa Sede. Prova ne sia del suo sventolio di una bandiera ucraina in piena udienza generale: possibile che se ne siano dimenticati? Dimenticati come di quando diede del “chierichetto di Putin” al patriarca Cirillo?

Comprendo benissimo la quasi emozione del portavoce del Cremlino Peskov, però attenzione ad amare disillusioni.

Insomma, la russofilia del Vaticano è del tutto apparente e tale solo per chi è abituato ad andare a caccia di pensieri e parole difformi ed extra sceneggiatura.

Un pensiero papale liquido per una società liquida.

A. Martino   

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *