TOTO CUTUGNO ITALIANO VERO MA TRISTE E MAI COMPRESO DALLE ELITES

La tristezza (aveva spesso l’ aria come troppo seria, per un cantautore, ma lui si considerava un cantante popolare) forse gli derivava non solo dalla gavetta durissima ma anche da una sorellina soffocata mentre mangiava, da un fratello malato cronico e da un’ altra sorella che fu la prima bambina italiana operata al cuore.

La critica non gli perdonò mai le vendite straripanti di dischi, anche fuori dall’ Italia (soprattutto nell’ area del socialismo reale agli sgoccioli) ma anche fin quando ha avuto una vita artistica piena (memorabile a San Remo la sua esibizione col coro dell’ Armata Rossa).
Successo appunto scandaloso per costoro, a fronte di nullo impegno politico e di visione totalmente piccolo-borghese.

Questa visione nelle sue canzoni, quasi commovente nella sua ingenuità conformista quando non era ancora degenerata in correttezza politica (i calzini nel primo cassetto, un partigiano come presidente) lo fecero assieme ai Ricchi e i poveri, e ad Albano e Romina, assoluto paradigma dell’ italianità pizza e spaghetti fine millennio.

All’estero, “Sono un italiano vero” sostituì o quasi, in pochi anni, “O sole mio”.

A quanto pare, la nostra identità si era davvero infragilita: le premesse del declino c’ erano tutte, parallelamente all’ inizio della fine dell’ indipendenza nazionale (Tangentopoli, crollo del Muro, progetto Euro).

Ma il povero Toto (cui i medici, a detta di Albano, venti anni fa diedero per la sua prostata pochi mesi), non ne aveva nessuna colpa: voleva solo cantare, e cantarci.

Il suo broncio e l’anima che metteva sul pianoforte, attraverso le sue dita, non li dimenticheremo mai.

A. Martino

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