CON TREMILA ITALIANI DETENUTI ALL’ESTERO LO STATO NON HA NIENTE DI MEGLIO DA FARE CHE OFFRIRE IL VOLO DI STATO A ZAKI? MA CHI È VERAMENTE COSTUI?

Sono 3000 gli italiani detenuti all’estero a vario titolo e di questi, ben il 35%, risultano non ancora condannati, eppure, nessuno, né in questo Governo, né in quelli passati, si è mai interessato alle loro storie, mentre, al contrario, dal 2020, in modo bipartisan ed equanime, sia le forze di centro-sinistra che di centro-destra, si sono infervorate per difendere Patrick Zaki, uno studente universitario egiziano iscritto, all’Alma Mater Studiorum di Bologna, presso il corso di Laurea Magistrale in “Letterature moderne comparate postcoloniali”, che, per inciso, non parla una sola parola d’italiano e questo lo sottolineiamo non per mero sciovinismo quanto per il fatto che, pur avendo studiato in Italia ed essendo stato aiutato grandemente dalla nostra classe politica nazionale, in tutte le interviste rilasciate e nelle varie dichiarazioni ufficiali e non, non gli abbiamo mai sentito pronunciare né un singolo buongiorno, né una sola buonasera, o se preferite una qualsiasi altra parola di italico idioma … niente! Zaki, a quel che pare, si esprime solo in un ottimo inglese, alla faccia dei fessi che gli avevano messo a disposizione anche un Volo di Stato.

Ma chi è questo Zaki tanto importante da far dimenticare ai nostri governanti che ci sono ben:

1.079 italiani carcerati in Germania;

 458 nostri connazionali detenuti in Spagna;

 231 compatrioti prigionieri in Francia Belgio;

202 italiani reclusi in Belgio nel Regno Unito;

192 concittadini detenuti nel Regno Unito in Svizzera;

131 nostri connazionali prigionieri in Svizzera negli Stati Uniti;

 91 compatrioti carcerati negli Stati Uniti n Venezuela;

66 italiani detenuti in Venezuela;

58 concittadini reclusi in Perù;

55 compatrioti in galera in Australia

54 italiani prigionieri in Brasile;

30 nostri connazionali al gabbio in Colombia.

La risposta è presto data: Patrick Zaki non è il solito studentello, ma un giovane attivista e politico impegnato nel suo Paese, l’Egitto.

Egli infatti è stato uno dei principali collaboratori di Khaled Ali, avvocato ed attivista politico per la difesa dei diritti umani, che nel 2018 si candidò, per la seconda volta, alle elezioni Presidenziali egiziane contro al-Sīsī salvo poi ritirarsi all’ultimo secondo perché, come egli affermò, i suoi principali collaboratori erano stati tutti arrestati. Tuttavia, 6 anni prima, sempre alle Presidenziali, Khaled Ali, ottenne solo lo 0,6% dei consensi.

In altri termini Navalny sta alla Russia come  Ali sta all’Egitto, ovvero sotto la cappella di Soros!

Come se non bastasse Patrick Zaki, da ragazzo, ha fatto parte dell’associazione per la difesa dei diritti umani Egyptian Initiative for Personal Rights: un’organizzazione che si propone di difendere i diritti umani e in particolar modo i diritti delle persone LGBT.

In Egitto, infatti, la comunità LGBT non è ufficialmente riconosciuta, né dal partito politico al potere, né dai movimenti di opposizione, né tanto meno dall’opinione pubblica in generale.

In altri termini l’omosessualità ed il travestitismo sono fortemente stigmatizzate all’interno della società egiziana e Zaki, ufficialmente, proprio per questo, dal 2019, stava frequentando un Master Universitario in “Studi di Genere” presso l’ateneo bolognese.

Ora, il 7 febbraio 2020, mentre stava tornando in Egitto per fare visita ai parenti, dopo l’atterraggio all’aeroporto del Cairo, venne arrestato dagli 007 egiziani e la notizia non fu resa pubblica se non dai suoi amici della Egyptian Initiative for Personal Rights.

Dal mandato d’arresto per Zaki si capiscono tante più cose.

Infatti, all’universitario, non veniva solo addebitata la scrittura di una tesi di laurea sull’omosessualità, quanto:

  • La minaccia alla Sicurezza Nazionale;
  • L’incitamento alle proteste illegali;
  • La sovversione e diffusione di false notizie;
  • La propaganda per il terrorismo
  • Una presunta amicizia con la famiglia di Giulio Regeni
  • Il suo impegno politico.

Rispetto a queste due ultime voci si tenga anche presente che – nel novembre del 2020, e cioè 9 mesi dopo l’arresto di Zaki – tre leader dell’Egyptian Initiative for Personal Rights sono stati incarcerati dalle autorità egiziane con l’accusa di far parte di un’organizzazione terroristica e di diffondere notizie false e pericolose per la Sicurezza Nazionale. Ciò, guarda caso, è avvenuto proprio pochi giorni dopo un incontro avvenuto nella sede dell’EIPR con un gruppo di diplomatici e ambasciatori fra cui spiccava anche l’Ambasciatore italiano, Giampaolo Cantini.

A questo punto sembra ancor più palese che le azioni della Egyptian Initiative for Personal Rights siano ispirate totalmente dalle potenze occidentali tra le quali, anche il nostro Paese avrebbe giocato un ruolo importante.

Ecco spiegato dunque l’arcano per il quale la conferenza dei rettori delle università italiane – insieme ad altre analoghe reti universitarie di altri Paesi europei – ha espresso immediata solidarietà a Zaki e lanciato appelli a non finire per la sua liberazione, così come hanno fatto 26 eurodeputati italiani e ben 18 comuni del Bel Paese hanno concesso la cittadinanza onoraria allo studente egiziano.

Cittadinanza, poi, che il Parlamento Italiano, in vena di generosità, ha elargito a Zaki pur, quest’ultimo, non avendone diritto.

D’altronde cosa non si farebbe in occidente per una nuova “primavera araba”, magari in odor LGBT, in quel della terra dei Mamelucchi?

Lorenzo Valloreja

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