1973-2023. A CINQUANTA ANNI DALL’INIZIO DELLA GRANDE DISSACRAZIONE IN ITALIA, SIAMO ARRIVATI AL CORPUS DOMINI SOSTITUITO IN ROMA DA UNO SHOW MASSONICO PRESENTATO DA CARLO CONTI E DA UN MERCATO ORTOFRUTTICOLO

Anno del Signore 1973. Nella provincia italica dell’impero euroatlantista (ma allora vi era il molto meno invasivo e desovranizzante MEC ovvero mercato comune europeo, altro che Unione europea) alloggia al Quirinale Giovanni Leone, un penalista principe del foro napoletano proveniente dalle fila democristiane.

Si susseguono due governi entrambi a guida democristiana come sempre dal dopoguerra, e come sempre alquanto effimeri: quello di Giulio Andreotti e poi quello di Mariano Rumor. Paradossale stabilità sostanziale in un quadro di instabilità formale.

Da dieci anni siede sulla Cattedra petrina Paolo VI, al secolo cardinale Giovan Battista Montini. La Chiesa è ancora considerata una istituzione potente e di estrema influenza sull’italiano medio. Deriva modernista postconciliare o no, si prepara oltre le mura leonine il disastroso referendum abrogativo del divorzio.

Ebbene, nel 1973 questa Italia apparentemente ancora così iper “cattolico-democratica” subì delle scosse telluriche di avvertimento, su due fronti della cultura di massa e di intrattenimento che oggi appaiono meno cruciali e influenti di quanto all’epoca fossero, quando cinema e televisione se la battevano ancora tutto sommato ad armi pari (l’home video e lo streaming neanche esistevano come concetto, e  la pubblicità non solo cinematografica era la tappezzeria delle nostre città, spesso scollacciata e davvero spinta, si pensi ai manifesti, ancora negli anni Ottanta e primi Novanta, del cinema di Tinto Brass).

In quell’anno uscirono ben due film di Domenico Paolella (alias Paolo Dominici) che diedero vita a un vero e proprio piccolo filone: il cosiddetto genere conventuale. Entrambi, comunque, erano debitori alla manzoniana figura della Monaca di Monza (personaggio dal fondamento storico,  centrale nella narrativa di Alessandro Manzoni, autore scolasticamente definito “cattolico” ma direi piuttosto cattoliberale, e protomodernista a cui la corrosione dell’istituzione ecclesiastica non poteva non andare a genio). Le due pellicole peraltro, dal nome Storia di una monaca di clausura e Le monache di sant’Arcangelo con ottimi cast quali, nel primo una Spaak e una Giorgi e nel secondo una Muti (intuibili le eroticità dei loro ruoli), non ebbero difficoltà a passare le maglie di una umorale censura, e di una distratta sensibilità cattolica (d’altronde, in quell’anno nei cinematografi italiani saranno transitati forse cento films).  

Più scalpore produsse la oggettivamente blasfema e assai più eclatante réclame del jeans Jesus. La pubblicità riproduceva un jeans sbottonato su un corpo femminile con la scritta “ non avrai altro jeans all’infuori di me”, ed un bel fondoschiena, sempre muliebre, con l’evangelico motto “ chi mi ama mi segua”. Qui, l’artiglieria anticarro cattolica non mancò e la pubblicità, dopo aver letteralmente invaso le nostre città, sembrò battere in rovinosa ritirata. Peraltro, Pier Paolo Pasolini la condannò senza appello.

Una vittoria di Pirro, considerato l’impressionante saccheggio del Sacro da parte non solo e ancora, della pubblicità (ricordate il prete che bacia la suora di Benetton-Toscani o i caffè paradisiaci?), ma anche dell’intrattenimento televisivo persino RAI (vedasi il tanto osannato Trio Marchesini-Lopez-Solenghi irridente ad esempio San Remo o la dizione papale) o certi monologhi di Massimo Troisi.

Insomma, cinquanta anni fa inizia in Italia la Grande Dissacrazione, che proprio in questo anno, tra accuse di perverse pratiche da parte, ancora,  di San Giovanni Paolo II e crudeltà semipedofiliaca al Beato Pio IX, è approdata alla sostanziale abolizione del Corpus Domini da parte della Chiesa dell’Urbe, in favore di una massonica giornata della “fratellanza universale” sul sagrato di San Pietro presentata da Carlo Conti, e di un mercato ortofrutticolo su Via della Conciliazione.

Perfetta mi pare quindi la sintetica definizione dell’odierna (post)cattolicità fatta da Diego Fusaro nel suo ultimo libro “La fine del Cristianesimo. La morte di Dio al tempo del mercato globale e di Papa Francesco”.    

Ovvero, quella di “ irenismo salmodiante detrascendentalizzato che ortopedizza in senso quietista e passivo le masse sofferenti”. Una definizione sintetica quanto intellettualmente spietata e cruda, che meriterà da parte nostra ulteriore attenzione ed analisi.

A. Martino

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