WAGNER GROUP, COMPAGNIA DI VENTURA DEL VENTUNESIMO SECOLO COL SUO SCANDALOSO CAPITANO
Ci siamo occupati più volte degli armamenti presenti nel conflitto russo-ucraino, ma finora solo, più di una volta, della famosa unità ucraina dell’Azov.
Mi sembra il caso, ora che gli eventi, anche di dinamiche interne alla Russia, lo hanno messo particolarmente sotto i riflettori durante i combattimenti attorno a Soledar, di soffermare la nostra attenzione sul gruppo Wagner.
Esso è al momento la milizia mercenaria più famosa (per molti, si direbbe piuttosto famigerata) al mondo.
Innanzitutto, chiarisco un equivoco a beneficio di un’innocua impresa tedesca: il Gruppo Wagner tedesco con ramificazioni europee, importante azienda nella tecnologia costruttiva di superficie e altro, non c’entra assolutamente nulla con guerra e dintorni. Guerra e dintorni che sono decisamente core business del corpo armato privato ( PMC ovvero Private Military Company) fondato da Dmitry Valeryevich Utkin, così chiamato a causa dell’amore di costui per la musica di Wagner.
E’ il caso di fare un minimo di storia del mercenariato e sicurezza russi, per capire da dove sbuchi questa realtà che il Dipartimento americano del Tesoro preannuncia di mettere al bando come organizzazione criminale, suscitando gli ironici commenti degli interessati che si riterrebbero così legittimati, data la poco stimata fonte del provvedimento.
Russia, 2011: nasce il Moran Security Group, società specializzata in sicurezza all’estero di aziende impegnate fuori dai confini russi; niente di strano, i paesi dalle economie più consistenti ne hanno diversi (basti pensare alla tragedia in Iraq del nostro povero Quattrocchi e al coevo boom dei cosiddetti contractors).
La struttura era guidata da Vyacheslav Kalashnikov, ex agente del KGB, i servizi segreti sovietici, ora FSB, e braccio destro dell’ex vice presidente della banca centrale.
Nel 2013 dal gruppo Moran nacque la Slavonic Corps, questa sì tecnicamente definibile agenzia di mercenari. Le reclute venivano addestrate in Siria a Latakia, nella base aerea russa, e poi utilizzate ovunque vi fossero interessi russi.
La Slavonics Corps fu ben presto liquidata per motivi che mi sfuggono, ma un nucleo “tosto” di uomini d’armi (mi piace usare questo termine antico) capitanato da Dmitry Valeryevich Utkin, passa a costituire il Gruppo Wagner, da allora impegnato ovunque vi sia un qualche interesse russo diretto o di amici della Russia; dalle navi su rotte oceaniche infestate da pirati alla custodia di miniere, a lavori vari come Iraq o Centrafrica dove una divisa ufficialmente russa comporta intuibili problematiche geopolitiche.
Sembra ormai assodato che gli “omini verdi”, né marziani né ridicoli a dispetto della bizzarra definizione giornalistica, erano in realtà wagneristi schierati a difesa delle repubbliche indipendentiste russofone di Donetsk e Lugansk nei loro primi mesi di vita. Evidentemente, di loro si sapeva ancora ben poco.
Utkin (classe 1970) era stato ufficiale del GRU, il servizio di informazione delle forze armate russe, ed è originario della dura quanto sconfinata terra siberiana. Musica di Wagner a parte, pare che abbia una certa tendenza ideologica per nulla da orfano dell’ Unione Sovietica, e che sul campo ami indossare il caratteristico Stahlhelm tedesco della seconda guerra mondiale. Parimenti ama farsi fotografare in pose ultramarziali alla Apocalypse now. Ha in gran conto la figura di Adolf Hitler e ancor più quella di Heinrich Himmler padre delle SS, e si può intuire la sua visione dell’ebraismo. Molti wagneristi, almeno tra quelli di etnia russa, aderiscono alla Weltanschauung del loro Fuehrer (mi sembra il caso di così definirlo).
Sembra quindi che nel nazionalismo radicale russo vi siano tre filoni: uno è grosso modo identificabile nella sinistra rappresentata da chi ha i suoi punti di riferimento in Lenin o Stalin e nella tradizione bolscevico-comunista; il secondo in quello zaristeggiante e cristiano-tradizionalista alla Dugin; e il terzo infine, in quello di cui ora stiamo parlando, paganeggiante ed esaltante le radici ario-vichnghe della Rus di Nongorod e di quella di Kiev. Tra Azov e Wagner, quindi, le similitudini ideologiche sono apparentemente sorprendenti. Anche se in Wagner, qualche rituale esoterico a parte come sempre sospetto, mi sembrano assenti tracce di satanismo, in Russia evidentemente inconcepibile.
Adesione alle idee del capo o non adesione, la disciplina è più che dura, e anche qui è inevitabile il richiamo alle compagnie di ventura di cui noi italiani un tempo fummo leader del settore assieme a tedeschi o a svizzeri: ne sa qualcosa chi prova ad andarsene prima della scadenza contrattuale, e si ritrova col cranio spaccato a martellate.
Nel 2018 entra in scena il cosiddetto “cuoco di Putin” erroneamente definito capo di Wagner quando invece ha semplicemente investito in esso, cioè quello Yevgeny Prigozhin che più di qualcuno vede persino come probabile delfino o quanto meno successore di Putin, “cuoco” in quanto uomo di affari che, da un chiosco di hot dog a Pietroburgo e diversi ristoranti, è arrivato ad una catena di catering e altri affari: tra cui appunto, la sicurezza estremamente agguerrita e paramilitare del Wagner.
Nel 2018 Yevgeny Prigozhin, Dmitry Utkin e il Presidente Vladimir Putin si incrociano tutti e tre, per quanto pubblicamente noto, a un ricevimento offerto ai reduci dalla Siria; ovviamente, Prigozhin curò la parte gastronomica dell’evento.
La mancata presa di Bakhmut, nonostante le audaci infiltrazioni di uomini del Wagner in mimetica ucraina tra le trincee degli uomini di Zelensky, ha in qualche modo ridimensionato le ambizioni del “cuoco” pur mettendo in luce che il Wagner è disposto a osare laddove forze regolari esitano.
Le stime degli effettivi di questo singolare corpo militare sono assolutamente incerte: fino a qualche mese fa si parlava di “appena” seimila uomini, ma nei giorni scorsi il Pentagono ha ipotizzato un organico di ben cinquantamila “risorse umane” che in larga parte derivano da scarcerazioni condizionate al reclutamento. Storicamente parlando, nulla di strano se si pensa che nei paesi dell’ancient regime, prima della trovata francese della leva obbligatoria, metodi del genere erano normalissimi come imbarcare sulle navi ubriachi raccattati nelle taverne.
In Russia però, vi è tuttora la coscrizione obbligatoria: ma i tempi sono cambiati anche sulle rive della Moscova, e le ansie di papà e soprattutto mamma, hanno la loro importanza.
Gli avventurieri del Wagner “mercenari”? E’ tutta una questione semantica: esercito “professionale” non significa questo? Un wagnerista non ai vertici della catena gerarchica, se non ci lascia la pelle (evento molto più probabile che oggi, per un nostro alpino o aviere o fate voi), guadagna mediamente duemila-duemilatrecento euro al mese: un maresciallo dei carabinieri o uno sceriffo di una cittadina del Kansas o Texas, o un sottufficiale di marina dei paesi NATO, con qualche indennità per questo o quello possono portare a casa anche di più.
Io li vedo piuttosto come “soldati di ventura”: a volte un po’ pazzi, a volte spietati come capita a tutti in guerra, ma a Mishima certamente, e forse anche a D’Annunzio e al principe Borghese, sarebbero piaciuti. Sono una dimostrazione che, anche se nel modo peggiore e meno auspicabile, e nonostante algoritmi e metaversi, a qualcuno il sangue ancora scorre nelle vene.
A. Martino
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