E’ MORTO RUGGERO DEODATO, IL “MONSIEUR CANNIBAL” DEL CINEMA

Ovviamente, nello scorcio estremo del tribolato 2022, singolarmente affollato di dipartite eccellenti, tra un papa “emerito” e una divinità del pallone anch’essa “emerita” come Pelè (cristianesimo e neopaganesimo?) passando per un mito pop come Lando Buzzanca, la scomparsa di Ruggero Deodato avvenuta il 29 dicembre è passata quasi sotto silenzio.

Eppure, egli (nome oggi ignoto ai più) è stato uno dei più provocatorii, scorretti, visivamente terribili registi del cinema italiano; prova ne è che il solito Quentin Tarantino, bollino blu di qualunque cinematografia non convenzionale e viscerale oltre che amante del cinema italiano più di tanti italiani stessi, lo idolatrava e lo volle, come Edwige Fenech, attore nel non meno estremo Hostel II.

Attore e non più semplice comparsa, il ragazzo lucano avrebbe in effetti voluto essere, quando un provino fallito con Federico Fellini lo indusse a tentare la strada della regia. E così si cimentò in svariati generi, dal poliziottesco all’erotico passando per il mitologico-pseudostorico, quando nel 1976 usci il suo Ultimo mondo cannibale: pellicola discendente diretta dei cosiddetti Mondo movies basati su spietatezze e truculenze varie filmate in diretta (forse ahimè, non sempre fittiziamente, vedi il mitico Mondo cane). Questa materia per stomaci cinematografici decisamente pelosi, sottogenere non per tutti  decisamente, travalicante gli stessi confini dell’horror,  si basava su degli assiomi ben precisi: sono cinematograficamente (ma forse a volte purtroppo realmente come già detto) più pseudodocumentari che veri film; il mondo è, quando natura e malvagità umana lo vogliono o permettono, atrocemente crudele; queste situazioni antropologiche e zoologiche hanno in situazioni quali le foreste amazzoniche o africane piuttosto che del Borneo, l’habitat più naturale e agevolato. Coccodrilli si cibano di uomini come fanno tigri o leoni, che ovviamente e cordialmente non si risparmiano tra di loro; gli uomini a loro volta, si ricordano di essere tra di loro “homo homini lupus”, e quando possono rendono il servizio alle fiere con estremo piacere. Anche la natura inanimata, fa la sua porca figura con sabbie mobili e trappole varie come piante carnivore o velenose.

Il film che però lo consacrerà davvero nel genere, rendendolo uno dei cineasti forse più bersagliati dalla censura nella storia del cinema (e per i francesi Monsieur Cannibal) , è lo sconvolgente Cannibal Holocaust (1979). Abbastanza semplice quanto provocatoria la trama: un antropologo si reca in Amazzonia per capire che fine abbiano mai fatto dei reporters apparentemente spariti nel nulla, e scopre l’atroce realtà, ossia che sono stati divorati da cannibali. Visionando però i filmati da loro girati che egli rinviene, ci si renderà conto che essi hanno compiuto incredibili efferatezze proprio per filmarle, e che in fondo, come si direbbe, se la erano cercata. Difficile stabilire chi, tra i rappresentanti dell’evoluta e corretta “civiltà occidentale” e i “selvaggi” sia peggiore. All’antropologo verrà vietato di svelare la “vera verità”, preferendo far passare i giornalisti per vittime sventurate.

Tanto la “civiltà” che l’ ”inciviltà” escono a pezzi da questo terribile delirio visivo: la prima ha dalla sua solo la tecnologia, l’arte dell’ipocrisia e del fare affari, la seconda non ha proprio nulla da essere compreso e con cui dialogare ma almeno vive sprofondata in una natura maestosa, misteriosa e stupenda. Il delirio dei reporters raggiunge l’apice quando non smettono di filmare neanche all’inizio del loro massacro; geniale la trovata di Deodato della pellicola graffiata, copiata a piene mani dallo pseudo rivoluzionario Blair witch project oltre un quarto di secolo dopo. Ispirate le musiche di Riz Ortolani; tra gli interpreti, un molto giovane Luca Barbareschi.

Ruggero Deodato non abbandonerà il filone dell’Estremo (basti pensare a Inferno in diretta del 1984, o a Cannibal Holocaust II), ma i tempi erano drasticamente cambiati come ben sappiamo e dovette gradualmente adattarsi a un, pur ottimo, artigianato televisivo o di film in fondo pensati e prodotti per la TV dopo un passaggio in sala. Un film come Cannibal Holocaust è semplicemente impossibile, oggi, anche solo da pensare: una scorrettezza dall’ inizio alla fine ingestibile a livello di telenetwork, un pugno allo stomaco anzi da spappolamento della milza per le anime belle del Pensiero Unico.

Dal mio punto di vista, forse tra quanto di più non visibile paradossalmente prodotto dalla settima arte, ma anche una vera perla per lo scandalo (non solo visuale ma concettuale e antropologico) che provoca nella sedicente classe intellettuale dell’omologazione secondo conformismo pensierounicista.

A. Martino

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