L’IDIOMA ITALICO HA UN FUTURO?
“Realizzare un business plan che presti particolare attenzione al marketing del catering, per inserirsi al top del settore food and beverage. Non sottovalutare i competitors….E riformare la policy aziendale in materia di privacy…”
Oppure, che ne dite di “Our five fundamentals” che si è dati una grande banca , attinenti anche al settore HR (“Human resources”) ?
D’altronde, lo stesso Stato, la stessa Repubblica (la Republic of Italy) che emette i titoli del debito pubblico noti anche come bonds, non scherza in quanto ad anglofonia : bisogna assumere un esercito di navigators ovvero di tutors che istruiscano alla fruizione del reddito di cittadinanza. E meno male che c’è un governo che dovrebbe essere refrattario al mondialismo: però ciò non toglie che si parli di smantellamento del job act a cominciare dalle tutele per i riders, e di global compact che non passerà. Sperando che i ministri competenti non siano incalzati dal question time parlamentare….
Questo non è il testo di un monologo di Luciana Litizzetto o di Giovanni Cacioppo : è una vera e propria emergenza nazionale, per quanto mi riguarda più grave dello spread o dell’ outlook negativo delle prospettive macroeconomiche italiane, cui potrebbe far seguito un ulteriore declassamento del rating. OK ?
La lingua italiana è in pericolo, la scuola e l’università la abbandonano con convinzione crescente a partire dal penultimo governo Berlusconi con le sue filistee tre I (Impresa, Inglese, Informatica) istituendo corsi di discipline scientifiche servilmente anglofoni non solo universitari ma persino liceali ( vedasi il Liceo scientifico Filippo Masci di Chieti); essa sta scivolando verso la dimensione di super dialetto italico cui i vari Bilderberg, Davos, ecc. l’hanno condannata certo non esplicitamente, ma nel contesto generale della loro terrificante omologazione mondialista. Tutto deve infatti convergere verso la insulsa, lessicalmente misera lingua originaria della ex Britannia romana; ancora trenta o quaranta anni, e la lingua italiana o quel che ne resterà, farà la fine degli antichi idiomi delle isole britanniche. Diventerà un dialetto piuttosto incomprensibile, anche se di gloriosa tradizione letteraria e di venerabili tradizioni storiche ben più del gaelico.
L’omogeneizzazione linguistica comporta per i mondialisti innanzitutto il controllo più agevole e immediato delle comunicazioni delle masse. Significa qualcosa che Echelon, il primordiale sistema di controllo globale comunicativo degli anni Cinquanta, fosse controllato dal blocco linguistico anglosassone (USA, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda)? E significa certo, il controllo ormai totalitario e irreversibile della psicologia delle masse e dei singoli cittadini dell’impero euroatlantista : tutti americani anche se non trumpiani, tutti oxfordiani, cambridgeani e harvardiani illusi di aver acquisito non so che bagaglio culturale, quando invece ci si è semplicemente abbeverati alle fonti del Pensiero Unico politicamente corretto di questa Vergine di Norimberga dello spirito detta Occidente. In fondo, non cambia nulla dire in perfetto accento oxfordiano le stesse banalità che si imparano nella fatiscente scuola pubblica italiana, o ripetere le stesse veline sorosiane in tutti i campi dello scibile e delle umane attività.
Infatti da ormai settanta anni siamo invasi dal cinema e dai telefilm dei Liberatori ora detti fictions, dalla musica dei Liberatori, dalla produzione letteraria dei Liberatori che ci hanno persino attaccato il virus delle loro idiosincrasie figlie di una Storia (la loro) in perenne ricerca di un nemico nell’infantilismo di base della loro cultura mercantile che ha conosciuto un solo scrittore sommo anzi sublime (Shakespeare) oserei dire sprecato per un idioma così arido e primitivo, da non riuscire a coniugare praticamente i verbi e da confondere la seconda persona singolare con quella plurale. L’essere stati esecrati nemici della perfida Albione e della sua gangsteristica ex colonia riesce a rendermi ammirevole non solo il megalomane ed usurpatore Napoleone e a piangerne la sconfitta a Waterloo, ma anche e persino , tanto per dirne uno a caso, il cialtrone presidente messicano Antonio Lopez de Santa Ana ( il cattivone di Alamo). Conosciamo i nomi di tutti i cinquanta States degli USA, ma di certo non quelli dei novanta dipartimenti francesi, o di tutti i Laender tedeschi : si rispetta e ama la mano del padrone, si diffida persino di quella dei compagni di servitù che non parlano inglese. E’ un santo martire Abraham Lincoln che un connazionale uccise gridando “Sic semper tyrannis!” e che in effetti aveva la responsabilità di una spaventosa guerra civile che strumentalizzò la questione schiavistica, ma si ignora il sacrificio di uno zar di Russia coevo che liberò i contadini russi dalla servitù della gleba.
Certo, non è la prima volta nella Storia che una lingua conquisti l’egemonia di veicolo culturale e commerciale : basti pensare al francese, o anche al greco nell’antichità ellenistica e romanizzata. Ma un romano restava pur sempre romano, o un giudeo restava tale con la sua religione monoteista e i suoi rotoli della Legge. L’ellenismo contaminò e arricchì, non distrusse.
Se sentite sbraitare di democrazia o libertà vicino a voi in lingua madre e accento yankee o british, corrette a nascondervi in qualche scantinato, stanno per arrivare bombe o missili. E anche se diligentemente studiato, come canta il grande Franco Battiato, “il giorno della Fine non vi servirà l’Inglese”.
A.Martino
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