CINQUANTA ANNI FA IL TERRIBILE SACRIFICIO DI JAN PALACH E DEI SUOI AMICI. LA DISPERAZIONE DEI LIBERI.

Questo è un articolo “pesante”, che ci renderà ancora più alieni all’estabilishement, al Pensiero Unico, e addirittura pericolosi per chi vuole che non si pensi, ma si faccia pensare altri per noi; compito del cosiddetto intellettuale sarebbe poi quello di adeguarsi e di guarnire il tutto di fine scrittura e fine dicitura.

Il sedici gennaio 1969 , il ventunenne Jan Palach , nel pieno centro di Praga, si dava fuoco, morendo dopo tre giorni di immaginabile agonia. Fu un gesto di straordinaria, sconvolgente nobilità e non violenza (non torse un capello a nessun coetaneo militare russo tra l’altro fratello slavo, che obbediva al regime  dell’epoca). Anche se non riesco in nessun modo e in nessun caso, a condividere la logica dell’autosoppressione.

La estrema, disperata protesta era diretta contro l’occupazione militare che doveva stroncare il “socialismo dal volto umano” cecoslovacco, ma soprattutto a scuotere, imbarazzare, mettere in crisi le coscienze in Cecoslovacchia e oltre. Il suo gesto fu seguito da alcuni amici parimenti eroici, sconvolgenti, e determinati, purtroppo assai meno ricordati.

Su un quadernino da studente, firmandosi “torcia n.1”, Jan aveva scritto: “ Poiché i nostri popoli sono sull’orlo della disperazione e della rassegnazione, abbiamo deciso di esprimere la nostra protesta e di scuotere la coscienza del popolo. Il nostro gruppo – Patria e Libertà – è composto di volontari, pronti a bruciarsi per la causa. Poiché ho avuto l’onore di estrarre il numero uno, è mio diritto scrivere la prima lettera…..Firmato : la torcia n.1”.

L’industria opinionistica e culturale non si è profusa nel ricordare questo cinquantenario e lo ha, come vedremo, manipolato. Ma qualche voce fuori dal coro ovviamente c’ è tra cui Marcello Veneziani sul Panorama “belpietrizzato” che ha messo ben in luce l’imbarazzo che ha sempre circondato, da subito, questo pugno allo stomaco dei benpensanti che se da un lato hanno tentato di ricoprire di oblio atti così clamorosi come quello dei ragazzi di  Patria e Libertà etichettati ovviamente come fascisti dalla propaganda sovietica (e non eravamo certo all’epoca dello “strappo” berlingueriano), dall’altro non hanno osato appiattirsi troppo su tale vulgata disinformante. E poi, c’era ad Ovest il Sessantotto dal significato completamente diverso.

Oggi, dissoltasi l’URSS e il sistema stesso del socialismo reale se non il suo fantasma cinese che cerca di far credere che in Cina non vi sia il capitalismo, e in una forma anche selvaggia, il ricordo del sacrificio di Jan e amici, si presta a una duplice menzogna : il “monito contro l’imperialismo antidemocratico russo”, e l’attribuzione al povero ma grande Palach di una inesistente tensione ideale verso un “mondo senza frontiere e senza muri”. Palach quindi, liberale?

E’ tutto assolutamente falso : Palach amava la Patria sua, alle sue frontiere ci teneva maledettamente, e se avesse potuto costruire una nuova Muraglia cinese con le proprie mani e quelle dei suoi amici, lo avrebbe fatto e come, per ostacolare i carri armati del Patto di Varsavia. In quanto al pretesto russofobico, poi, non vi è negli scritti di Palach, con la mancanza di rancore tipica dei grandi spiriti , un solo strale verso il popolo russo, ma in fondo nemmeno contro il socialismo reale . Vi è solo anelito alla Libertà. Palach è un puro nazionalista, o se vogliamo il primo sovranista.

Il suicidio rituale, o volontario e spontaneo, è tipico di pensieri “forti” così forti da annientare il loro stesso portatore . In alcune culture orientali come la giapponese il seppuku è, o era, una vera e propria categoria etica e religiosa: basti pensare ai kamikaze che però mai avrebbero colpito obiettivi civili a differenza dei loro avversari “liberatori” a stelle e strisce. E al seppuku di Yukio Mishima nel 1970, frustrato dal non essere riuscito a sollevare l’esercito per la riscossa nazionale in nome dell’ Imperatore. In ambiti a radice giudaico-cristiana il suicidio è un peccato, anche se la odierna secolarizzazione tende ad ammetterlo “per non soffrire” fisicamente ( la fisicità è ovviamente l’unica dimensione cognita a una cultura spaventosamente materialista ed economicista, che ne approfitterebbe per togliere di mezzo i “pesi morti”).

Ma resta rigorosamente ancora non sdoganato il suicidio di tipo idealistico, quanto meno perché il Pensiero Unico non solo, diversamente, ammetterebbe l’imperfezione del mondo che ha costruito e costruisce, ma persino il profondo disagio che esso genera in spiriti magari, indubbiamente, tormentati di proprio, ma di sicuro “schifati” dal Sistema e capaci di esporre le proprie convinzioni in lucidissima forma intellettuale nonché attori culturali. Ovviamente però, non si va per il sottile e si bolla questi rari casi come di persone “disperate e infelici”. Ma quanti sucidi avvengono, anche nella nostra “comunità dai buoni sentimenti” come da mattarelliana definizione, senza alcuna teorizzazione ma riportabili al male di esistere che questo putrescente Sistema crea?

Figura in questo senso palachiana e per me egualmente schiaffo alle coscienze, che tengo a ricordare in questi tempi di gilets gialli e di annaspante mondialismo in salsa di Republique , quella dello storico Dominique Venner, che nel 2013 si uccise dinanzi all’altare di Notre Dame in Parigi tra 1500 turisti più che fedeli per “ scuotere i sonnolenti, le coscienze anestetizzate e risvegliare la memoria delle nostre origini” come da post di pochi giorni prima. Egli lottava contro l’omosessualizzazione della società, e anche contro l’islamizzazione. Poco dopo la notizia del suicidio, arriva su Twitter un commento di Marine  Le Pen, destinato a scatenare polemiche: «Tutto il nostro rispetto a Dominique Venner, il cui ultimo gesto, eminentemente politico, è stato di tentare di svegliare il popolo di Francia» scrisse la leader del Front National.
«Alla pietà per un uomo morto vittima della sua fobia non si può non aggiungere una forte condanna alle parole di Marine Le Pen. È vergognoso ascrivere valori politici a un gesto autolesionista ma comunque profondamente violento» ribatté il presidente di GayLib (gay di centrodestra), Enrico Oliari. E aggiunse: «L’omofobia fa male anche a chi ne è portatore. Il presidente del Senato Grasso l’aveva detto scherzando il 17 maggio. La notizia del tragico fatto avvenuto dentro la cattedrale di Notre Dame ne è l’ennesima prova». Anche in questo caso, la correttezza politica italiana è stata eccellente, incapace di mettersi in discussione, priva del minimo senso critico, ignara di pietà.

A. Martino      

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