VLADIMIR PUTIN RITROVA LA SUA GENTE, IN UN BAGNO (OCEANICO) DI FOLLA
Alla fine, Vladimir Putin ha oggi (18 marzo) ritrovato la sua gente. E quanta! Secondo fonti ministeriali russe dell’Interno, circa centomila persone nel principale stadio moscovita e altrettante all’esterno. Evidentemente, sono stati predisposti schermi giganti. Questo tipo di numeri si discute sempre a seconda delle esigenze di opposte propagande, ma comunque era una marea umana che il main stream occidentalista non è riuscito a ridimensionare o ignorare. Un bagno di folla del genere era del resto praticamente obbligato, a causa del martellamento dei media occidentali con le immagini delle proteste navalnyane e disfattiste fin dallo stesso fatale 24 febbraio.
Il leader russo è apparso alquanto disteso, indubbiamente e comprensibilmente compiaciuto dal bagno di folla. Giaccone scuro (che qualcuno nella stampa si è affannato a identificare con un capo costosissimo della migliore fattura italiana; e chi se ne importa, ammesso che tale sia?) e persino un modaiolo maglione dolce vita bianco. Un look, insomma, ma soprattutto una situazione spiazzante più da divo o da rock star che da statista, credo anche per molti russi che per mesi hanno visto, in fondo come in Occidente, Putin parlare a Russia e mondo dietro o ad anonime scrivanie da dirigente ministeriale, o a quelle immense, e indubbiamente raggelanti, di pregiato legno chiaro, del Cremlino. E sempre, ovviamente, in giacca e cravatta.
I nostri media avevano annunciato un “discorso alla nazione”, e mi pareva strano: sarebbe stato ridondante dopo quello di appena qualche giorno fa, di cui abbiamo informato i lettori. In effetti questa non era nemmeno una manifestazione patriottica straordinaria di sostegno alla “operazione speciale” in Ucraina, ma la consueta giornata dedicata all’anniversario della riunificazione con la Crimea. Tanti giovani sorridenti come a una gara di calcio clou, molti dei quali con indumenti recanti una Z come gli artisti che si sono esibiti sullo stesso palco su cui Vladimir Putin ha parlato. Ma soprattutto, una incredibile miriade di bandiere tricolori di Russia.
Un coro assordante invocante il nome della patria è rimbombato nel grande stadio che ospitò la finalissima dei campionati mondiali di calcio di quattro anni fa, quando Putin è apparso sul palco.
Allora, il Presidente ha rivendicato tutta la necessità di quanto finora comandato, mettendolo in speciale rapporto alla pesantissima situazione umanitaria in Donbass per la minoranza russofona che dal 2014 ha lamentato migliaia di vittime civili, anche tra bambini. Ha ovviamente esaltato anche la riunificazione con la Crimea, coincidente secondo la sua analisi in una vera rinascita specie per Sebastopoli.
Ed ha esaltato il valore e il sacrificio dei militari russi, spesso chiamati a proteggere l’uno la vita dell’altro con un particolare spirito di cameratismo. In questo senso ha citato il brano evangelico di Giovanni, in cui Gesù beatifica, anche per allusione profetica, il dare la vita per i fratelli e amici.
A tale proposito è insorto l’Arcivescovo di Chieti-Vasto, gridando addirittura alla bestemmia. Forse nel suo zelo atlantista, non ha compreso appieno il discorso putiniano; o forse, per lui (cosa che preferirei non pensare per un pastore di anime) i ragazzi russi caduti non hanno la stessa dignità dei morti ucraini. E soprattutto, alla faccia dell’ecumenismo, gli è sfuggito che Putin vive nel battesimo ortodosso, e che è soggetto all’autorità spirituale del Patriarca di tutte le Russie Kirill, che questa guerra, come già riferii, l’ha sostanzialmente, se non benedetta, quanto meno accettata nel segno della Verità cristiana.
A. Martino
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