IL NON VOTO IN ITALIA E’ FORSE LA SCELTA PIU’ MATURA E CONSAPEVOLE?

Recita l’articolo 48 della costituzione della Repubblica italiana: “ «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico».

A questa enunciazione, però, non fa seguito alcuna norma di carattere positivo: cioè, tradotto dal linguaggio giuridico, il nostro ordinamento non prevede alcuna sanzione e non vi sono conseguenze (almeno esplicite e dichiarate) derivanti dal proprio non voto. Anche se naturalmente, a disposizione del potere esecutivo a tutti i suoi livelli, i dati sui votanti e non votanti sono lì a disposizione. E in un Paese in cui da qualche anno si sono inventati i “precedenti di polizia”, si può supporre (tanto sono il solito complottista), che i dati su votanti e non votanti siano scrupolosamente custoditi e classificati, in attesa che venga fuori qualcosa contro il “negazionismo della democrazia”. La famosa privacy non è ancora arrivata in materia, d’altronde, oggettivamente, non vi è altro modo per impedire che qualcuno voti più di una volta nella stessa consultazione; e i ricorsi di qualunque tipo devono essere praticabili. Certo, sarebbe auspicabile che, decorso il termine per qualunque ricorso, gli albi di seggio dei votanti siano distrutti.

I padri costituenti vollero dare un segnale puramente morale, in un momento storico in cui tutti erano chiamati a rimboccarsi le maniche e lo fecero più o meno entusiasticamente. Si chiedeva pure, in poche parole, di dimostrare fiducia nel nuovo ordine repubblicano e parlamentare; facendo l’esatto contrario di Papa Pio IX tre quarti di secolo prima, il quale invece aveva espressamente chiesto ai cattolici di non esercitare il proprio diritto di voto (d’ altronde all’ epoca ridottissimo in pratica, all’ aristocrazia del possesso). Evidentemente, il liberalismo classico riteneva che chi nulla avesse al sole non dovesse intromettersi nella res publica.

Da questo punto di vista, mi sento vicino alla visione anglosassone: il diritto di voto è sacrosanto, ma si va a votare se proprio uno ci tiene, se proprio si vuole appoggiare un particolare candidato, se si presenta l’amico o la zia o la figlia o il figlio, se si tiene a una certa legge o progetto. Votando non si professa alcuna fede granitica nel Sistema, e non votando non si pronuncia alcuna bestemmia: britannici o americani né si si sentono nel primo caso benedetti dal dio Stato, né si sentono, nel secondo, da costui maledetti.

E’ anche vero che determinati postulati ideologici possano inevitabilmente attirare verso la cabina elettorale come respingerne: ad esempio l’intangibilità dell’aborto potrebbe indurre un antiabortista a render giustizia col non voto alle tasse da lui pagate con cui involontariamente lo finanza; e allo stesso modo l’europeismo quale ormai principio di regime potrebbe far sentire obbligato a tale “dovere civico” chi, sempre ad esempio, nelle istituzioni di Bruxelles o Strasburgo lavora. Sono a mio avviso, tutte posizioni legittime, non demonizzabili a priori; l’esercizio dei diritti politici deve essere ancorato a dati di fatto concreti e sanamente soggettivi.

Certo, come si è visto nell’ ultima tornata amministrativa, il non voto ormai coinvolge la metà abbondante degli aventi diritto in Italia. Ed è una tendenza inarrestabile in progressione lenta ma inesorabile, fin dall’ inizio del declino della prima repubblica. Combacia con la sempre più diffusa sensazione, banale quanto si vuole ma politicamente destabilizzante, che “tanto non cambia nulla” o che “comandano sempre loro”.

Qualunquismo? Complottismo? Ignoranza? Gretto populismo? Ma allora, perché dal 2011, nonostante le perfettamente valide elezioni di quella legislatura come quelle del 2013 e del 2018, con i governi presieduti in ordine di apparizione da Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi,  nessuno di questi presidenti del Consiglio dei ministri era ed è stato eletto né in Camera dei deputati né in Senato della repubblica?

E’ anche vero, a sforzarsi di avere larghe vedute, che un Monti aveva avuto una esperienza governativa in un governo precedente, o che un Renzi era stato sindaco di una grande città, o che Draghi proviene da Banca d’ Italia, e poi da Banca centrale europea: il deficit democratico restava e resta, però almeno non si tratta, addirittura, di tizi che erano sconosciuti ai più. Ma resterà alla storia una scelta sconvolgente come quella dell’avvocato Giuseppe Conte: fino ad allora assolutamente estraneo alla cosa pubblica, mai eletto nemmeno in consiglio comunale, anzi circoscrizionale. Semplicemente, un “grande professionista”: che ora si ritrova, appunto come un mandato professionale qualsiasi, la guida del Movimento 5 stelle dopo il fallimento dei contatti col PD e la lite insanabile con i clienti della Lega: com’ è complicata, la vita di chi lavora a partita IVA….  

Parafrasando Lucio Battisti come già facemmo, tu chiamala se vuoi….democrazia. Ma perché allora, perché di grazia uno dovrebbe considerarsi obbligato a votare, quando ormai le dinamiche del potere esulano da questo commovente, candido rituale ottocentesco?

Non è più serio e persino più rispettoso il non voto, rispetto a una scheda ripiegata con una fetta di prosciutto in mezzo, o imbrattata da parolacce e insulti?

A. Martino

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