QUARANTA ANNI FA L’ ANNO D’ORO DELLA POESIA DELL’ ORRORE DI LUCIO FULCI. PROFEZIA, NON DELIRIO.
Sapete perché torno a occuparmi di cinema horror, mi piace rendere tanto omaggio ad autori di un genere cinematografico così desueto particolarmente in Italia?
Ovviamente, non mi è stato mai indifferente anche se per tante pellicole alla loro prima uscita sbattei contro il divieto ai minori addirittura di diciotto anni. E già ho spiegato il peso che il cinema “di genere” ha avuto nella nostra cultura popolare, e come tanto il suo splendore quanto il suo declino siano uno dei migliori libri virtuali di storia d’ Italia nel ventesimo secolo.
Ma vi è anche, e forse nell’ ultimo anno soprattutto, che l’Assurdo, la poetica dell’Irrazionale e dell’ Inspiegabile, la mistica del Mistero (chiedo scusa agli esoteristi per la pessima ridondanza) di tante pellicole degli anni d’oro del Cinema e di quello tricolore in particolare sono stati semplicemente profetici.
Dicono qualcosa gli efferati “femminicidi” degli ultimi anni? L’ acido per sfigurare i volti non è assolutamente degno di morbose fantasie di celluloide? Che vi pare del dilagante satanismo, della visione della realtà ben più che delle messe nere? Non sono assurdi gran parte dei divieti che mettono, tolgono e reintroducono, e delle imposizioni? L’ origine del COVID-19 non è pura roba da mad doctor se non, quanto meno, mistero totale? E che vi pare, dell’“emergenza” in cui viviamo, in cui inafferrabili “comitati tecnico-scientifici” hanno costruito una dittatura, più che tecnico-sanitaria come la definii, direi ora piuttosto della Paura? E il martellamento di immagini di camion militari pieni di bare di poveracci (almeno così hanno detto) destinati a smaltimento come un qualunque rifiuto vi sembra cronaca normale, o repertorio classicamente gotico?
Se il 1971, come scrissi, fu l’anno della doppietta argentiana a Gatto e Quattro mosche, non ignoriamo il quarantennale di quel 1981 in cui il romanissimo Lucio Fulci, anzi trasteverino seppur di madre siciliana ma comunque all’ ombra del Cupolone nato e morto (1927-1996), ad ulteriore testimonianza dell’ormai impensabile potenza di fuoco di Cinecittà, manda sugli schermi grandi non due, ma addirittura tre fatiche: E tu vivrai nel terrore-L’ Aldilà; Black cat (il gatto nero); Quella villa accanto al cimitero. Dei tre è sua non solo la regia, ma anche parte preponderante alla sceneggiatura: il che, nel cinema è sempre una dichiarazione di paternità.
A proposito della romanità: ovviamente, questo incrementò la rivalità, seppur abbastanza cordiale, fra Lucio Fulci e Dario Argento. Lucio Fulci è uno straordinario esempio di uomo di cinema che ha avuto a che fare, egregiamente, con svariati generi: non solo lo hard thriller come Dario Argento, e lo storico (un Beatrice Cenci con scene di tortura di inedito realismo, e anche qui l’autore di Profondo rosso vanta un Le cinque giornate di Milano). Ma anche e soprattutto un padroneggiamento straordinario della commedia più commerciale dirigendo Franco e Ciccio, o Lando Buzzanca se non addirittura il sommo Totò. E non si risparmierà una sana quanto autoironica parodia del suo vero amore cinematografico fatto di incubo e poesia macabra, con Il cav. Costante Nicosia demoniaco ovvero: Dracula in Brianza (1975) dove a interpretare il neovampirizzato industriale del dentifricio è ancora Lando Buzzanca.
E tu vivrai nel terrore-L’ Aldilà, che personalmente, ora, mi ricorda il “nulla sarà come prima” declamato minacciosamente trentanove anni dopo dal primo governo sanitarista di Giuseppe Conte, ruota attorno a un albergo dismesso in Louisiana che cela un segreto terribile: quello di avere nei suoi sotterranei niente meno che una delle sette porte che separano il mondo dei vivi da quello dell’Aldilà.
La per nulla fortunata ereditiera dell’inquietante struttura alberghiera incautamente riaperta dove era stato massacrato mezzo secolo prima un pittore in odore di magia nera, sprofonda lentamente e senza rimedio (altro che indagini di polizia e spiegazioni scientifiche) in un incubo dove, uno alla volta, muoiono in modo raccapricciante tutti coloro in qualche modo a lei vicini o amici. Finché, per sfuggire a una invasione di zombies, Liza e un medico amico varcheranno proprio la fatale porta ed entreranno in un lugubre scenario descritto tanto in un rarissimo libro custodito nella libreria di paese quanto da un quadro del pittore esoterista.
I due sono nell’ Aldilà, diventano ciechi e corrono senza meta in una nebbia putrida e in uno scenario che ricorda l’attimo in cui Mel Gibson descrive l’inferno in Passion , consolati solo del sentimento reciproco (unica nota umana e commovente, quella mano nella mano). E’ un Aldilà senza redenzione e senza salvezza come in fondo anche senza castigo, assolutamente simile all’ Ade pagano ove risuona una voce: Ora affronterai il mare delle tenebre e ciò che in esso vi è di esplorabile.
Significativo l’ospedale deserto del crescendo finale, nosocomio dove non ci sono aiuto o scienza ma beffardamente, solo morti viventi; e la morte dell’architetto curiosamente interpretato da un giovane Michele Mirabella, che individuato il libro maledetto precipita con una scala misteriosamente spinta a terra, batte la testa e probabilmente cerebroleso, privo di parola quindi impossibilitato a gridare aiuto, assiste al dilaniamento di sé stesso da parte di una grossa tarantola.
Black cat (il gatto nero) è gotico puro, di tributo al genio di Edgar Allan Poe (“Il gatto nero”è uno dei suoi più famosi racconti).Un atto quasi obbligato per un uomo di Cinema, che tra i suoi appellativi annovera anche quello di Roger Corman italiano. E Roger Corman fu l’autore di una celebre serie di trasposizioni filmiche di diversi racconti “del terrore e del mistero” del sommo cantore americano del gotico, senza il quale probabilmente non staremmo forse a parlare di cinema gotico e horror.
Certo, non vi è il mitico Vincent Price con la sua profonda (e così in ruolo) voce dall’ accento british immortalata in Thriller di Michael Jackson, ma Katherine McColl, attrice di culto di Fulci, fa guadagnare all’ occhio di noi uomini. Interpreta una fotografa che in una cittadina inglese rischia di morire murata viva. Ma proprio il gatto nero, apparentemente malefico, la salverà con i suoi miagolii. L’ atroce fine della muratura da vivo (anzi da viva, istigazione al femminicidio, direbbe ora qualcuno) è anche nel thriller fulciano 7 note in nero del 1977.
Quella villa accanto al cimitero: ditemi un po’ se oggi un film uscirebbe mai con un titolo come questo o il Tu vivrai. Qui siamo nello statunitense New England (canonico per i film del genere come altrettanto canonica è la sventurata famigliola del professore). Siamo però non dinanzi a un onesto prodotto commerciale, ma a uno dei più emblematici film di Fulci.
Il professore vi si reca per capire i motivi dell’omicidio-suicidio di un suo collega ivi avvenuto. Singolare lo spregio dell’inevitabile ripulsa per luoghi del genere oltretutto con vista su un cimitero, ma come diremo, altrettanto grande è la poetica dell’ Assurdo di Fulci. In un sotterraneo sprangato dal secolo precedente, vive un mostro che piange come un bambino: è nientemeno che l’originario proprietario della singolare magione, mad doctor che sperimentò orrende tecniche per mantenersi in vita. Il mostro dal significativo nome di Freudstein piange come un bimbo, e nel tentare di sopprimerlo moriranno entrambi i genitori di Bob, salvato da una bambina che si scopre essere la figlia di Freudstein. La salvezza è però fittizia, dato che Bob dovrà seguirla, e anche qui due esseri di sesso diverso si avviano, anche se più serenamente, verso sentieri ignoti per eccellenza, mano nella mano.
Il mondo di Lucio Fulci è Poetica dell’Orrore davvero agghiacciante nella sua freddezza, molto diversa dalle situazioni argentiane dove contro il Male si lotta con qualche speranza. Qui si crede di opporvisi ma l’ultima parola non conosce fede o speranza, e l’Orrore e il Mistero devono solo decidere se e quando ghermirti e irrompere nella tua tranquilla quotidianità. Si dimentichi nel gotico fulciano qualunque razionalità, siamo nel regno dell’Assurdo e della negazione della Pietà, della descrizione forse un po’ troppo compiaciuta della crudeltà, del macabro come ricercato pugno nello stomaco. La scarsità della tanto di moda “empatia” dietro la macchina da presa nei film di Fulci è ai limiti della tollerabilità anche nei soggetti, come il sottoscritto, antropologicamente estranei fino al midollo, al politicamente corretto.
Lucio Fulci è un gigante italiano del cinema mondiale che lo spirito dei tempi già in strutturazione quando ci ha lasciati, rischia di far ingiustamente dimenticare, comprensibilmente imbarazzato dai suoi profeti e affannato nel garantire che “andrà tutto bene”. Merita invece di essere ricordato nel quarantennale del suo anno d’ oro.
A. Martino
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