LA REPUBBLICA ORMAI INUTILE COMPIE SETTANTACINQUE ANNI. E SE IN ITALIA TORNASSE LA MONARCHIA?
La Repubblica italiana vede la luce grazie al non cristallino risultato del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Nasce sotto l’egida dei vincitori angloamericani e sta morendo “europea”.
L’elezione del Presidente della Repubblica italiana è stata sempre una complessa alchimia di compromessi fra partiti una volta raggiunto un compromesso fra le diverse fazioni di quelli più grandi della prima repubblica (Democrazia Cristiana, Partito comunista, Partito socialista), il Presidente era un arbitro sperabilmente corretto e non troppo partigiano. Esagerato e retorico, quanto meno relativamente alla sua attuazione, l’art.87 della Costituzione che afferma che è “capo dello stato e rappresenta l’unità nazionale”.
Per la verità fino al 1978, i notabili della “partitocrazia” mantennero un certo stile alquanto distaccato e notarile. Con Sandro Pertini (“il presidente più amato dagli italiani”) la sua spontaneità e il suo innegabile populismo fecero da tuta mimetica all’ embrionale Pensiero Unico. Pertini è il primo presidente bellaciao, abbraccia Tito come un fratello e quando vede Almirante al Quirinale lo guarda come uno che gli è semplicemente sopravvissuto, forse lo guardava come il pitone guarda un coniglio (anche se Almirante coniglio certo non era).
Da Francesco Cossiga in poi, in modo crescente, coloro che risiedono in quella che fu la reggia dei Savoia e ancor prima dei papa-re, più che l’unità nazionale hanno rappresentato una garanzia. Quale? Di che? Verso chi? Ve lo abbiamo già detto, e ve lo ripetiamo. Con serenità e naturalezza, anzi senza polemica: è una cosa sotto gli occhi di tutti.
Verso NATO e Unione Europea. Non solo vigilano sulla in effetti, difficilissima defezione da queste entità, ma anche intervengono non appena qualcosa possa turbarle, qualche parola sia fuori posto, qualche perplessità sorga a Bruxelles o a Washington. Anche se con Trump alla Casa Bianca, era proprio un rompicapo e un funambolismo.
Mi metto nei panni umani dell’inquilino del Colle: il periodo degli shows antieurocratici del governo gialloverde fu da cardiopalma, da continuo lavorio dietro le quinte per rassicurare il rubicondo Juncker circa l’ antiimmigrazionismo di Matteo Salvini, o l’ arrogante Macron sulle improvvisazioni di geopolitica monetaria di Luigi di Maio (ricordate il franco CFA?).
E poi, giorni fa dal Quirinale si è detto o no? E’ stato solennemente affermato all’ indirizzo di scolaresche che la Repubblica è imprescindibilmente europeista.
Quindi, mi dispiace, ma la Repubblica non è ormai per me, non la capisco, è una pizza non come la regale Margherita consorte di Umberto I ma alle melanzane o ai crauti, rispetto chi le mangia e i loro pizzaioli ma mi fanno leggermente schifo, non posso farci nulla : sogno l’ Italia indipendente, presieduta, rappresentata, coordinata e diretta da chi non è solo un alto funzionario che potrebbe anche chiudere il suo mandato in anticipo sostituito da un governatore europeo, se così da chi, di fatto, è più in alto di lui si chiedesse.
Un re, un buon Re con la maiuscola è in un certo senso un mistico anche laddove le formule istituzionali si riferiscano più alla volontà del popolo che alla grazia di Dio: è, oserei dire, ossessionato dal suo ruolo fin dall’ infanzia, fin da ragazzo conosce l’uniforme per inculcargli la mistica (appunto) del servizio, non si dimette (e quando la fa è una tragedia), in un certo senso non va mai in ferie. Basti pensare alla queen Elisabetta II. E per sano egoismo e interesse familiare in questo caso utili al popolo, fa di tutto per lasciare all’ erede una sana e fiorente “azienda”. Vorrei togliermi il cappello e acclamare mio sovrano (non per tirannide ma proprio per incarnazione “sovranista”) chi sa chi erano i suoi antenati di mille anni fa, che già, magari di un fazzoletto di terra, furono sovrani.
D’ altronde, la repubblica non mi ha mai affascinato: probabile retaggio di nonni “reazionari” che sospiravano “è una repubblica…” dinanzi a una stanza in disordine o a discussioni interminabili e inconcludenti, o lamentando un’ingiustizia.
Umberto II di Savoia seppe consegnarsi a un lungo irremovibile esilio per evitare una nuova guerra civile, firmò il decreto istitutivo del referendum istituzionale e in un certo senso la fine del suo trono, promettendo con classica magnanimità regale che in caso a sé favorevole il referendum sarebbe stato ripetuto. L’ art.139, invece, impone una repubblica eterna come un certo governo che qualcuno voleva “millenario”.
Dobbiamo morire repubblicani, seppure di una repubblica ormai superflua come tanti dipendenti del Quirinale.
A. Martino
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