OTTANTA ANNI FA I NOVE GIORNI DELL’EPOPEA TRAGICA MA GLORIOSA DELLA CORAZZATA BISMARCK
Nella primavera del 1941, questa era in sintesi la situazione geopolitica e militare dell’Europa.
Nonostante l’epica resistenza dell’anno precedente ai bombardamenti a tappeto della Luftwaffe e i successi contro le forze italiane sul fronte libico e in Etiopia oltre che nel Mediterraneo, la Gran Bretagna era nell’ evidente impossibilità di chiudere positivamente la partita nei confronti dell’Asse a trazione tedesca. Dilagate le forze italo-germaniche in Yugoslavia e Grecia, apparve molto probabile che i Balcani erano ormai visti da Berlino come la retrovia di una imminente operazione contro l’URSS.
In tale senso, sarebbe stato ulteriormente determinante il controllo delle rotte nordatlantiche, vitali per i futuri approvvigionamenti della Russia staliniana.
In questo contesto, mettendo praticamente Hitler dinanzi al fatto compiuto date le note perplessità, il Grandammiraglio Erich Raeder ordinò all’ incrociatore pesante Prinz Eugen e alla corazzata Bismarck di prendere la rotta del Nord a caccia di preziose prede mercantili. Il 18 maggio 1941 scatta quindi l’ operazione Rheinuebung, ovviamente in coordinazione con la flotta di sommergibili: si sperava di replicare la buona caccia a cui mesi prima avevano partecipato altre unità di punta della Reichsmarine.
Accennavo prima allo scarso entusiasmo del signore assoluto della Germania: non era dovuto a poca fiducia nel valore e nell’ operato della sua marina, ma piuttosto ai dubbi sulle reali chances di successo nei confronti della marina britannica dotata di portaerei. Uno scetticismo assolutamente fondato.
La corazzata Bismarck, varata e pienamente operativa solo dall’ anno precedente, aveva una stazza di 41.700 tonnellate (50.900 a pieno carico), misurava 250 metri di lunghezza e 36 metri di larghezza, era munita di una fasciatura di acciaio temprato dello spessore di trentadue centimetri, e la corazza delle sue quattro torri arrivava a 340 mm. di spessore. Il suo armamento comprendeva otto cannoni da 380 mm., capaci di una gittata di venti miglia dal peso di circa sette tonnellate a colpo; dodici pezzi da 150, sedici da 105, ed era forte di quaranta mitragliere antiaeree. La corazzata disponeva anche di sei tubi lanciasiluri, quattro idrovolanti e due catapulte e in guerra imbarcava un equipaggio di 2.000 uomini, tra ufficiali e marinai. Era fornita di un motore a caldaie di tubi d’acqua ad alta pressione e turbine a ingranaggi, e le tre eliche le consentivano una velocità massima di quasi 31 nodi.
Comandante l’ammiraglio Guenther Luethjens, “roccia di bronzo”, scapolo fino ad età piuttosto avanzata che nonostante sia in attesa del terzo figlio non esita ad accettare il comando per spirito di servizio. Sul ponte di comando dell’imponente incrociatore dedicato al condottiero italiano servitore degli Asburgo, il capitano Ernst Lindemann.
In poche parole, la Bismarck era una delle più temibili e belle navi corazzate del mondo, assieme alla sua gemella Tirpitz, alla nostra Littorio (se non pure alla Roma), e alla giapponese Yamato. Tutte costoro periranno con onore facendo da sepoltura a migliaia di eroici quanto sfortunati soldati del mare, ad eccezione della Littorio ignominiosamente regalata agli Alleati dopo l’8 settembre.
L’effetto sorpresa su cui contavano Raeder e Luetjens svanisce ben presto già dall’ avvistamento in acque franche da parte di una nave da guerra svedese, e per l’immediata ricognizione aerea dei britannici.
Il 24 maggio è battaglia: la punta avanzata di una imponente forza navale albionica entra in contatto con la formidabile corazzata e il suo compagno, ma ha la peggio; lo Hood, considerato un gioiello della Home fleet, viene distrutto, più che affondato con gli oltre milletrecento uomini e la Price of Wales gravemente danneggiata con altrettanto gravi perdite umane; lo stesso comandante è stordito per la devastazione sul ponte di comando.
Eppure con apparente assurdità, Luetjens ordina di non dare il colpo di grazia. Preoccupato per i danni della Bismarck e desideroso di sganciarsi e riparare in un porto amico? Teutonica fedeltà alla lettera degli ordini che più che una guerra navale, impongono una specie di guerra corsara e di non “perdere tempo”? Non si saprà mai. Il Prinz Eugen venne comandato da Luethjens di sganciarsi e proseguire la missione in solitaria, evidentemente per non essere associato al tragico epilogo.
La fine della Bismarck definitivamente quanto sfortunatamente ingaggiata la mattina del 27 sarà un’agonia lenta e crudele, come quella di un possente lupo inseguito da una muta di cani famelici: portaerei con i loro velivoli, corazzate e incrociatori, siluri….colpi nessuno dei quali mortale ma ognuno grave se sommato agli altri.
I britannici dovettero vendicare l’affronto della “nave di Hitler” alla loro sacra egemonia sui mari: la Bismarck non era un avversario, era un delinquente che aveva osato fulminare uno dei migliori pezzi della propria flotta. Pura psicologia imperialista più che militare, un po’ infantile e molto arrogante.
Ma il loro dominio dei mari (la famosa talassocrazia) era assolutamente prossimo a finire, umiliato dall’ attacco a sorpresa giapponese in Pacifico alla fine dell’anno. E soprattutto dalla nuova potenza militare e navale statunitense, capace di sfornare portaerei come fossero motovedette.
La vera e propria guerra navale, in un certo senso, sembrò finire con la Bismarck e la battaglia delle Midway nell’ Oceano Pacifico, l’ anno dopo ne darà definitiva conferma.
Ma oggi la Bismarck è tuttora il modello di nave militare più ambito da modellisti e collezionisti, oggetto di un vero e proprio culto della memoria un po’ come il Titanic o l’ Andrea Doria o il Queen Mary.
Nel caso della Bismarck però, non è questione di passione per antiquariato navale. Siamo dinanzi alla Gloria del suo equipaggio, dal comandante all’ ultimo macchinista. E auguro ai patrioti tedeschi che tale orgoglio non sia mai proibito da qualche zelante politicante ai vertici della “Difesa”.
A. Martino
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