24 APRILE, GIORNO DI MEMORIA DEL MARTIRIO DEL POPOLO ARMENO. LA FERITA E’ ANCORA APERTA.
La sera di ieri, vigilia del 24 aprile giornata di memoria del Genocidio armeno del 1915, almeno diecimila persone hanno sfilato per le vie di Erevan, capitale della repubblica di Armenia, componendo una suggestiva fiaccolata, non senza mascherina facciale (dimostrando tra l’altro che la libertà di manifestare è conciliabile con le cautele sanitarie). Bruciate la bandiera turca e quella dell’Azerbaijan.
Hanno commemorato il tragico genocidio operato dai militari turchi (allora dell’Impero ottomano) sulla popolazione armena di qualunque età, maschia e femmina, che portò a una diaspora di larga parte della popolazione armena in tutto il mondo. Tale pagina dolorosissima e vile brucia ancora nella coscienza di ogni armeno, e anche di coloro che sono armeni per sola parte di padre o madre di due o tre generazioni fa. Il governo turco repubblicano si rifiuta tuttora di riconoscere tale crimine, e anzi dalla posizione di ogni stato in merito, fa dipendere le relazioni bilaterali.
Alcuni dimostranti hanno intonato canti patriottici, altri ancora suonavano tamburi o altri semplici strumenti musicali.
Oggi come allora, la cristianità degli Armeni sicuramente è uno dei motivi principali, se non il principale, dei propri problemi e tragedie nei confronti delle popolazioni turcofone e islamiche che li circondano (vedi foto di una chiesa distrutta durante l’ultimo conflitto in Nagorno-Karabakh). Il regno armeno, anzi, ancora prima dell’Etiopia, divenne ufficialmente cristiano quando qui da noi, nel pieno dell’Urbe, persistevano i culti pagani e i loro templi ancora si affollavano.
Dispiace però che pendano dalle labbra di Joe Biden e dell’attuale amministrazione statunitense per il possibile annuncio da parte del presidente degli Stati Uniti del riconoscimento come “genocidio” del massacro degli armeni del 1915. Capiamo i risvolti pratici ed economici, ma dovrebbero anche aver capito che la disfatta nell’ultimo conflitto azero è l’ennesima dimostrazione che dagli USA e dalla NATO nessun Paese può ottenere tutela di interessi nazionali, ma solo l’inserimento in una geopolitica globalista senza valori, religione e progetti.
Hanno da guadagnarne solo i locali establishments, in cambio della sostanziale sottomissione alla legge del più forte. E la Turchia, purtroppo per la piccola ma gloriosa Armenia, lo è. A meno che da Erevan non si guardi a nord (in direzione di Mosca): ma senza tatticismi e opportunismi.
A. Martino
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