IL CASO DI FABRIZIO CORONA, SCHEGGIA IMPAZZITA E COMODA VITTIMA SACRIFICALE DI UNO STATO PER NULLA ETICO

Non so se Fabrizio Corona sia più vittima del Sistema o di….Fabrizio Corona.

Una cosa è sicura: non vorrei essere al suo posto. Ma se lo fossi, nobiliterei la mia discesa agli inferi dichiarandomi una specie di “prigioniero politico”. E’ la lezione dei due delinquenti crocifissi chi a destra e chi a sinistra di Nostro Signore Gesù Cristo: l’uno riesce a dileggiarlo e ironizzare sul Suo supplizio persino quando mancano alla propria fine ormai i minuti più che le ore. E l’altro lo redarguisce perché neanche allora, riesce a redimersi e riscattarsi, anzi prega perché Gesù accolga sé in Paradiso: costui è considerato come davvero il primo cristiano, ancora prima degli stessi Apostoli confusi, spaventati e increduli.

Andando molto più in basso, si pensi alla “politicizzazione” in ogni epoca e in ogni regime, di tanti delinquenti comuni a opera di quelli “politici”. O alla “conversione” alla causa pannelliano-radicale di certi detenuti “eccellenti”.

Insomma: anche la caduta più rovinosa può paradossalmente essere l’occasione della vita. Ma bisogna avere troppi, e troppo robusti attributi: culturali, psicologici, ideologici. Si può anche essere in cella di isolamento, ma qualche buon libro, carta e penna, confortano sicuramente più di compagnie difficilmente edificanti privando delle quali con l’ isolamento, il sistema carcerario ha sempre creduto, non so in fondo perché, di infliggere una punizione ulteriore al carcerato.

Nel caso in questione è però impensabile che Corona saluti la corte giudiziaria con saluto romano o pugno chiuso o si dichiari prigioniero politico. E non riesce che a inveire, non ad articolare una polemica sulla legittimità profonda della funzione giurisdizionale, che potrebbe magari apparire un comodo espediente retorico a fronte di sue responsabilità innegabili; ma che però potrebbe dare un minimo di senso al suo calvario.

Ovviamente queste sono considerazioni intellettuali in astratto e dall’ esterno, augurandomi come chiunque di non farne mai sperimentazione come ci si augura per gli ospedali e i tribunali (in quale ordine crescente, non saprei). Vi è però una importante letteratura in materia, basti pensare alla celeberrima opera del nostro Silvio Pellico Le mie prigioni o agli ultimi capitoli de I proscritti del patriota tedesco prenazista Ernst von Salomon.

Ma mi si consenta e ripeto, parliamo di giganti dello spirito, non di un povero disgraziato con problemi psichici, e non da ieri o dall’ altro ieri. Per cui, anche nei momenti di massima lucidità il carcere è davvero l’ Inferno detto “casa circondariale” non disponendo di alcun anticorpo interiore valido e lasciandosi all’ esterno una vita dorata con tutti i lussi e gli agi del Ventunesimo secolo per un vip, temuto, usato e blandito dagli altri vip per la sua attività paragiornalistica. Lussi, agi, stile di vita e modalità sociali di gestirsi da lui impossibili da limare come da concessioni e condizioni di libertà dei giudici di sorveglianza che oggettivamente e ripetutamente, delle chances gli hanno ripetutamente dato.

Ma sembra per lui incomprensibile che, per farla finita, avrebbe dovuto semplicemente assoggettarsi alle regole e limitazioni imposte: non uso dei socials, non reiterare condotte come fare serate pagate al nero con proventi in contante addirittura nascosto nei muri, starsene a casa ai domiciliari e non andarsene in giro, e chi più ne ha più ne metta. E poi: che senso ha insultare magistrati e polizia giudiziaria, minacciarli?

Nessun senso, se non quello possibile solo nella testa di una persona sempre più stravolta, patologicamente incompatibile col Sistema. Ma non solo quello politico riguardo a molti aspetti del quale mi sento, e ci sentiamo, dissenzienti e alternativi bensì il generale sistema sociale e legale che in qualunque regime e ordinamento, con caratteristiche e sfumature diverse, deve pur regolare la vita consociata. Insomma, siamo di fronte a un Nietzsche letto non in edizione integrale, ma in due o tre paginette del bignamino per l’ ultimo anno di liceo.

Ma allora perché, di grazia, non lo fanno curare, che interesse hanno a farlo suicidare in carcere per poi  dire che “dovevano fare il loro dovere”?

Oltraggio a pubblico ufficiale o a magistrato in udienza, minacce, danneggiamenti (oltre all’autolesionismo) per attacco di ira o isteria…è tutto vero, ma se Corona è fuori di testa, come lo è, che senso ha accanirsi in ulteriori denunce, avvisi di garanzia, condanne con aggravanti di recidiva ecc…Il tutto mi ricorda la spirale che portò ne I miserabili di Victor Hugo, il protagonista a venti anni di carcere partendo dal furto di un pezzo di pane e attraverso diversi tentativi di evasione.

Erika e Omar erano una ragazzina drogata con relativo “fidanzatino” che circa venti anni fa uccisero freddamente accoltellandoli, madre e fratellino di costei (il padre non era in casa). Ebbene, da qualche anno sono liberi, curati e in prova quanto si vuole, ma liberi, cavolo! : è possibile che la presunta abiezione di Fabrizio Corona sia superiore a qualcosa del genere? Che quest’ uomo sia paragonabile a Totò Riina o agli stragisti dell’ISIS più efferati?  

Ma i media main stream sanno solo ripetere che “le sentenze non si discutono ma si rispettano”, e che “ci sono le regole”. Anche la tanto pubblicizzata lettera di Adriano Celentano, in fondo, è aria fritta buonista attenta a non urtare la suscettibilità di qualcuno col potere. Un tempo, il Molleggiato andò controcorrente col referendum sul divorzio: ora, non criticherebbe nemmeno le fioriere dinanzi al Palazzo del Quirinale.

E’ appena ricorso il centenario della nascita del grande Nino Manfredi: si rivedano In nome del Papa Re (di Luigi Magni, 1977). E soprattutto riflettano sul monologo di Manfredi prete-giudice che smonta tutte le certezze legaliste e farisaiche dei suoi colleghi (non tanto a ragione secondo me, Monti e Tognetti furono patrioti e idealisti quanto si vuole ma anche veri terroristi).

Il Diritto non è teologia, la legge non è fede, i giudici non sono dei sacerdoti officianti, e i processi non sono riti religiosi ma piuttosto drammi. Anche se spesso in questi ultimi vi è la vittima sacrificale, ma perché sono la drammatica quanto sacrosanta e necessaria  rappresentazione teatrale delle certezze borghesi e laddove gli interpreti siano di basso livello, si rischia la farsa o al contrario la tragedia.

A. Martino         

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