IL CLAMOROSO STOP (CON INVERSIONE DI MARCIA) DI VINCENZO DE LUCA.
La sua incredibile, repentina ritirata strategica dopo una notte di guerriglia urbana a Napoli nella notte tra venerdì e sabato è andata ben oltre la per lui insolita sobrietà di commenti, che dinanzi a fatti così gravi ci si sarebbe invece immaginata del tipo: “ i responsabili saranno scuoiati vivi”. Altro che, o professore ha proprio ingranato la retromarcia col massimo della velocità che tale ingranata consenta. Primo ammorbidimento: lockdown sì ma solo se il governo garantirà un ristoro economico ai titolari.
Ma dopo qualche ora il cambio di linea è drasticamente radicale, in controtendenza rispetto allo stesso ennesimo editto del governo centrale tecnico-sanitario: sancente stop delle attività per bar e ristoranti a partire dalle ore 18. E all’ ex sceriffo di Salerno non va clamorosamente bene: bar e ristoranti devono restare aperti fino alle 23. Un cambio di orientamento rispetto all’ ora del desinare di venerdì davvero inspiegabile anche secondo i canoni classici della politica e amministrazione locali, se non, dopo la rivolta nel centro di Napoli, con il vecchio immortale andazzo del “forte con i deboli e debole con i forti”: e se poi ci si mette pure la signoria dei pacchetti di voti dalle parti di Napoli purtroppo ancora nelle peggiori mani…mah, lasciamo stare.
Non è da escludere neanche, dopo la drammatica notte di Napoli, una telefonata del “fratello del commissario Montalbano”, suo leader di partito.
“In assenza di chiusure complessive è inutile penalizzare intere categorie”, si giustifica, convertito al garantismo imprenditoriale lo Stalin di Salerno. Insomma, una richiesta in totale, direi persino drammatica, negazione del lockdown per tutta la (povera) Italia invocato a brutto muso (per lui ordinario) neanche 24 ore prima.
Ma De Luca si differenzia, rispetto alle decisioni del governo Conte, anche su un punto, bizzarro per un ex docente liceale per cui la scuola pare essere l’ ultimo orpello anacronistico: la didattica a distanza a suo avviso deve rimanere al cento per cento, con l’eccezione dei soli asili. Il che sarà in fondo pure giusto (perché esporre al rischio di contagio un bambino o insegnante delle elementari, e non un i “colleghi” liceali di entrambi?).
Ma conferma l’ impressione, paure inconfessate e contingenti a parte, di un volersi differenziare a tutti i costi, fino quasi al ridicolo, dal resto della nomenklatura tecnico-sanitaria.
Permane ancora il divieto di circolazione da una provincia all’altra. Mentre il Dpcm di Conte non impone alcun divieto di mobilità se non la “forte raccomandazione” a evitare per quanto possibile gli spostamenti extracomunali. Quindi: un campano può andare in Molise o Calabria ma non può spostarsi da Benevento a Mondragone o Napoli (all’interno della stessa regione).
Complimenti al decisionismo, alla chiarezza di idee, e all’ ansia per la salute dei propri amministrati.
A.Martino
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