Il vento sovranista, fortunatamente, spira anche a Bahia, infatti, per la gioia dei patrioti brasiliani, Bolsonaro sarà il prossimo presidente carioca.

Dobbiamo sperare che il 28 ottobre Jair Bolsonaro sia eletto Presidente federale del Brasile, augurandogli una smagliante vittoria che restituisca dignità e autorevolezza alla suprema istanza politica del colosso sudamericano, fiaccata e screditata da anni di corruzione (Lula da Silva si trova in galera, il successore signora Rousseff ne è lì lì e il presidente uscente Michel  Temer è una classica figura di transizione borghese, che ha dovuto rilevare una presidenza devastata, senza alcun carisma). In virtù anche del fatto  che  lo scrivente è fondamentalmente un monarchico, più per reazione alla supponenza prettamente giacobina con cui si esalta alla francese (peggio ancora, con accento macronianano) la Repubblica e lo “spirito repubblicano”,che per reali nostalgie dinastiche, credo che il migliore governo brasiliano sia stato ancora quello imperiale di Pietro II di Braganza, che traghettò in un lunghissimo regno il Brasile dalla indipendenza alla abolizione di un istituto abietto come la schiavitù (e infatti, la oligarchia terriera gliela fece pagare subito dopo).

Il sessantatreenne Jair Bolsonaro è uno dei tanti, tantissimi brasiliani di origine italiana, ha frequentato la più importante accademia militare della terra del caffè e del caucciù , ma la sua esperienza da ufficiale è stata breve, mettendosi in luce presso i superiori come (forse troppo) “ambizioso e aggressivo”.

In una prima fase, la sua carriera politica è stata fortemente incentrata sulla base elettorale dei militari (ancora in servizio, nel 1986 fu arrestato per aver pubblicato un articolo in cui criticava i loro presunti bassi stipendi), e nel 1993 appena eletto in Camera bassa tenne un discorso per nulla “politico” in cui bollò per inetto il regime democratico esaltando la decaduta dittatura. Ma l’estrema attenzione ai temi della sicurezza, e secondariamente il liberismo economico quanto le promesse di riduzioni fiscali (questi  ultimi, per la verità più da destra economica che popolare), lo hanno catapultato al centro della rilevanza politica brasiliana, non precludendogli, con innegabile furbizia, una occhiata benevola dalle potenti elites produttive e finanziarie. L’attentato subito il sei settembre, che avrebbe potuto portarlo alla tomba, gli ha invece fruttato milioni di voti:come avrebbe detto Napoleone, “ha fortuna”.

Evita come la peste stampa e interviste varie, dando realisticamente per scontato il non appoggio del cosiddetto Quarto Potere, e temendo forse le sue stesse esternazioni.

Bolsonaro appare infatti, ben più che Trump, il politicamente scorretto fatto persona : non si contano le sue uscite contro la delinquenza (“un poliziotto che ammazza venti delinquenti merita una medaglia, non una inchiesta”), quelle cosiddette omofobiche (“meglio un figlio morto che gay”), dice di voler estradare Battisti.

Si proclama fervente cristiano ma evangelico: e per la Chiesa cattolica brasiliana nell’era Bergoglio ormai sposata alla teologia della liberazione, questa potrebbe essere una seccatura non da poco.

Nonostante i limiti di una piattaforma programmatica alquanto grossolana e forse artatamente provocatoria, non resta che augurarsi la sua vittoria al ballottaggio di domenica prossima, che compenserebbe per noi sovranisti  e antimondialisti, un probabile disastro trumpiano alle elezioni statunitensi di mezzo mandato.

 

Antonio Martino

 

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