Nel marasma attuale della Chiesa io scelgo sempre San Pio X.
Nelle ultime settimane, per più volte, Papa Francesco ha rimarcato la realtà e fisicità del Supremo Nemico (il diavolo o Satana che dir si voglia), ammonendo circa l’ operato a di costui a danno della Chiesa di Cristo, e invitato alla recita del Rosario nel mese di ottobre in funzione di esorcismo generale pro Ecclesia. E’ oggettivamente “cosa buona e giusta”, e il main stream dei mass media, solitamente osannante gli aspetti sociopolitici del magistero bergogliano, ha taciuto con imbarazzo, laddove con un altro papa avrebbe gridato all’oscurantismo medioevale. Vi è però qualcosa che non quadra : anche se lo scrivente crede fermamente nell’esistenza di un Male preternaturale, se non altro perché Cristo, immediatamente prima di ascendere, conferisce agli Apostoli anche il mandato specifico di scacciare i demoni “in nome Suo” che in diverse occasioni secondo i Vangeli già aveva fatto, però troppo spesso è stato, ed è, comodo, attribuire al Maligno anche ciò che opera sua lo è assai opinabilmente (forse, il memoriale di Mons. Viganò, o forse i famosi dubia dei cardinali cosiddetti tradizionalisti riguardo l’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia per la serie “il diavolo semina divisione e zizzania e fomenta menzogne”); o magari il “sovranismo” e il “populismo” contro cui anche la Santa Sede e il suo massimo vertice, in singolare sintonia con le istanze dell’estabilishment mondialista, lancia strali; non vorrei che “il diavolo” sia anche l’opposizione all’islamizzazione e all’immigrazionismo che, ovviamente, conosce abbastanza comprensibilmente, appoggio anche tra i cattolici.
Specularmente, siamo sicuri che affermazioni quali la mitica “chi sono io per giudicare..”, o le mai smentite chiacchiere in libertà con Eugenio Scalfari, che poté decretare trionfante “l’abolizione del peccato”, o il mettere in guardia l’ormai decimato personale ed equipaggio della Barca di Pietro dal credere in una “dottrina monolitica senza sfumature”, o dall’usare un “linguaggio completamente ortodosso”, come dice nella Evangelii Gaudium, non siano un aiutino, magari di sicuro involontario e facilmente strumentalizzabile, all’opera del Nemico? E che dire del cantiere in corso della epocale modifica della morale cattolica (o piuttosto cristiana ) in materia di omosessualità che vede nel gesuita padre James Martin una specie di vicario papale di fatto, inviato persino, con dubitabile opportunità, al raduno mondiale della famiglia a Dublino? Il Memoriale Viganò non trasuda santità da ogni riga, bisognerebbe chiedersi con quali fondi e appoggi, ora viva l’alto prelato autore di un j’accuse così umanamente ed ecclesialmente devastante, ma una domanda di fondo, secondo me capitale e untuosamente elusa, rimane senza risposta neanche accennata: esiste una lobby gay nella Curia romana e nella gerarchia della Chiesa Universale?
Ed ancora: vi era bisogno di celebrare i cinquecento anni di scisma luterano addirittura qualificandolo come dono dello Spirito Santo (Mons.Galantino dixit), recandosi Papa Francesco a festeggiare in Svezia, collocando una statua di Lutero in Vaticano e addirittura emettendo un francobollo vaticano (!) in cui gli eresiarchi Lutero e Melantone sono raffigurati, in una specie di parodia della tradizionale iconografia artistica cattolica, come San Giovanni e la Madonna ai piedi della Croce?
Se vi è un pontificato di estrema coerenza dottrinaria e culturale (almeno finora ), esso è quello di Papa Francesco; la sua cifra stilistica, il suo messaggio al mondo è apparso chiarissimo, in fondo, non dai primi suoi giorni, ma direi dalle sue prime ore. In quella sera del tredici marzo 2013, il duecentossessantaseiesimo Sommo Pontefice, successore di Pietro nel vicariato di Cristo, si presentò al mondo dicendosi quasi perplesso che i cardinali da tutto il mondo si fossero riuniti per eleggere il “vescovo di Roma”, spoglio di qualunque indumento prettamente pontificio (la veste e lo zucchetto bianco sono solo una variazione cromatica della tonaca che dovrebbe indossare qualsiasi prete), non benedicente ma invocante la benedizione addirittura inchinandosi dinanzi al popolo, proferendo non secolari formule elogiative di Gesù Cristo ma banali, secolari auspici di una buona fine di giornata o di una buona mangiata. Ma questo che affolla Piazza San Pietro in simili occasioni, oggi, non è soltanto il Popolo cristiano, ma anche e forse soprattutto, una moltitudine di turisti, di curiosi di eventi memorabili o di quello che per loro come ormai per i più di oggi, è solo un residuo di folklore cattolico. Ebbene, l’inchino dinanzi al mondo indistinto, l’apertura alla valorialità spiccia e casalinga, tanto più condivisibile quanto più innocua e non pretendente conversioni o interrogativi di coscienza, l’accantonamento sostanziale e tendenziale del Sacro a favore di una spiritualità emozionale e sempre corollario, mai spinta promotrice e criterio di orientamenti e apprezzamenti, a favore di parole d’ordine politicamente corrette e del tutto in linea col Pensiero Unico e pronte a smentite e puntualizzazioni nel caso in cui scappi di dire troppo nettamente “qualcosa di cattolico”, parafrasando Nanni Moretti; questa è la strategia di base del pontificato bergogliano , e della resa totale di ciò che rimane della Chiesa cattolica alla modernità.
E se, per rimanere nell’ambito militare, parlare di “strategia della resa” non ha senso, non resta che parlare di un suicidio, più o meno assistito (cioè eutanasia) del cattolicesimo. Ma allora, in questo bergogliano “ospedale da campo dell’umanità ferita” infestato da medici e infermieri pedofili, si pratica forse l’eutanasia spirituale di massa? Io non mi permetto minimamente di giudicare l’operato di colui che , questo si conceda, con vezzo postconciliare si presenta dunque come un semplice coordinatore dei vescovi cattolici mondiali, ma che ha tuttora il potere di ridurre un confratello nell’episcopato allo stato laicale come nel caso cileno; non sono un prete, non sono un alto prelato, non sono un teologo (anche se all’altezza delle blasfemie ed eresie di un Mancuso è improbabile che non riesca ad essere neanche un pessimo catechista), ma sono abbastanza anacronistico e patetico da definirmi un “intellettuale cattolico”; e mi si permetta di esternare la totale confusione, l’ansioso smarrimento, la malinconia spirituale che non è nostalgia ma incapacità di rassegnazione che questo pontificato mi suscita.
Non si contano le affermazioni e gli atteggiamenti papali, gli atti della Santa Sede o degli organi ad essa collaterali o subordinati, le estemporaneità, gli aneddoti, le frequentazioni e predilezioni papali, ingeneranti il sospetto o l’ impressione magari superficiale e pregiudicante ma difficilmente artificiosa o puramente pretestuosa, che si stia entrando, anzi si sia entrati già nell’era apertamente “postcattolica”, non dico proprio postcristiana, in cui la residua spiritualità del cosiddetto Occidente, sia accompagnata per mano alla totale adesione al Pensiero Unico, a un entusiastico “cupio dissolvi” nel trionfo dell’umanitarismo di matrice massonica, e nel compimento storico nel Transumanesimo.
Insomma, traiamo le conclusioni e guardiamo alla verità, magari sgradevole e politicamente quanto ecclesialmente scorretta, presupponente l’essere cattolico veramente adulto, cioè pensante (non nel senso prodiano di sottomesso al Mondo). C’è un semplice “ismo” che illustra tutti i mali della Chiesa cattolica:il modernismo. S. Pio X che fu al timone della Barca di Pietro dal 1903 al 1914, lo condannò nella monumentale enciclica “Pascendi”e definì come la matrice di tutte le eresie passate e future. Il modernismo significa “dialogo misericordioso” fino quasi all’ossessione, degenerante in relativismo e irenismo; il Vangelo racconto “non necessariamente storico, ma annuncio di Salvezza”;significa che la bimillenaria morale cristiana fa i conti col contesto storico; che l’ecumenismo sconfina,se non nel sincretismo, almeno nella protestantizzazione più che nella vicinanza all’ortodossia troppo “tradizionalista”.
Il Concilio Vaticano II ha tracciato il sentiero neomodernista, ma i Papi prima di Bergoglio arginarono il peggio. Ma ormai siamo all’estremismo dottrinario: una sorta di curatela fallimentare della Chiesa di Roma; esaltazione dell’opera di Martin Lutero, spiccata simpatia per gli intellettuali atei e infastidita sufficienza per quelli cattolici, caldeggiata islamizzazione della società, ansia di compiacere al politicamente corretto persino nella pura teologia (“Dio non è cattolico”, “chi sono io per giudicare”, ecc.). In questa Chiesa, l’eresia non è più considerata tale, anzi è credenziale di accesso alle principali case editrici; San Tommaso d’Aquino è solo storia del pensiero.
Pratica e senso religioso crollano irrimediabilmente, conventi e seminari ormai inutili sono riconvertiti nel business dell’accoglienza; in chiesa si sposano solo i patiti del vintage festaiolo, l’elite della società conosce quasi solo funerali laici, un Eco o un Fo in chiesa non si sono fatti portare nemmeno dentro una bara. Ma allora, tutto questo pensiero debole in cathedra e a anche in sacrestia, a cos’altro dovrebbe portare?
Antonio Martino
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