A 40 ANNI DALLA “STRAGE DI USTICA” NON POSSIAMO CHE USCIRE DALLA NATO!
Sono passati esattamente quarant’anni dal quel tragico 27 giugno quando, misteriosamente, il DC9 dell’ITAVIA si inabissò portando con sé, nelle profondità dei mari, 81 innocenti di cui 13 erano bambini.
Quarant’anni di silenzi e depistaggi, di indagini e reportage, ma soprattutto di altre morti sospette: 12 infatti sono i personaggi che hanno avuto a che fare con questa vicenda e che di sicuro sapevano qualcosa in più dei giudici, ma che ora non potranno parlare mai più perché tutti morti malamente. Tra questi chi si è suicidato, chi è stato vittima di incidenti d’auto o aerei, chi è morto per infarto ed altri mali.
Sta di fatto che, se a tutt’oggi una verità processuale ancora non si è trovata, gli elementi oggettivi – le dichiarazioni di vari esponenti politici di rango dell’epoca, le testimonianze di semplici marinai e militari di stanza presso la data portaerei statunitense piuttosto che lo specifico radar dell’Aeronautica Militare Italiana, così come le tante e minuziose perizie – ci forniscono un quadro molto chiaro ed agghiacciate:
quella notte, nei cieli sovrani d’Italia e nella piattaforma continentale del nostro Paese, si è tenuta una operazione di guerra che ci ha visto succubi perché legati a doppio filo alla NATO.
Questa la ricostruzione più plausibile per noi de l’Ortis:
Gheddafi che andasse segretamente in Polonia, o che si recasse in Unione Sovietica, ha poca importanza giacché, quella notte, stava attraversando o stava per attraversare (nel caso in cui fosse ritornato sui suoi passi virando su l’isola di Malta), in entrambi i casi scortato da due MIG23 della “Libyan Air Force”, la nostra penisola con il consenso dell’allora Primo Ministro Francesco Cossiga e del Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
A questo punto l’Aeronautica Militare Francese e la Marina statunitense hanno pensato bene di attaccare la squadriglia Libica in transito nel Tirreno.
Ma perché si è deciso di tentare la sortita?
Il rapporto ambiguo dell’Italia dell’epoca, infatti, faceva si che, il nostro Paese, pur facendo saldamente parte della NATO avesse dei fortissimi legami anche con la Libia di Gheddafi, la quale, all’epoca dei fatti, era acerrima nemica sia della Francia di Giscard d’Estaing che con gli Americani.
Nel primo caso l’attrito era dovuto al fatto che, da 2 anni, la Gran Giamahiria Libica si contendeva con il Ciad, appoggiato quest’ultimo da Parigi, una striscia di deserto larga appena 100 km che in passato aveva fatto parte della Libia italiana e che nel 1955 Re Idris I aveva riconsegnato alle autorità di N’Djamena, ma ricchissima di Uranio e Petrolio, e nel caso degli Statunitensi i ferri corti erano sorti in primo luogo per aver estromesso le basi USA dalla Tripolitania, Fezzan e Cirenaica dal 1970 e poi perché Tripoli era praticamente in guerra con Israele ed appoggiava la nascente Repubblica Islamica dell’Iran.
L’Italia invece, in tutto questo caos, aveva una condotta diametralmente opposta ai propri alleati ufficiali perché:
- La Libia di Gheddafi aveva effettuato dei forti investimenti nel nostro Paese, vedi proprietà del 13% della Fiat;
- Tripoli, pur avendo espulso gli ex coloni italiani dalla quarta sponda ed avendo cacciato tutte le compagnie petrolifere straniere, aveva permesso e garantito all’ENI di estrarre in maniera del tutto indisturbata tutto il Petrolio che ritenesse opportuno dalle proprie sabbie;
- A livello geopolitico questo connubio tra l’Italia e la sua ex colonia faceva si che Roma mantenesse saldamente il controllo sull’intero Mediterraneo centrale.
È sicuramente da queste considerazioni che nasce la famosa battuta di Giulio Andreotti: << Noi abbiamo una sposa americana ed un’amante libica >>.
Ora però, come in ogni relazione clandestina che si rispetti, quando il marito fedifrago viene scoperto deve necessariamente negare, negare anche l’evidenza, per evitare guai peggiori.
Così, anche se il Sismi riuscì ad avvertire per tempo il Colonnello libico dell’agguato franco/americano salvandogli la vita, nulla poterono fare le nostre autorità per mettere in salvo i 77 passeggeri del volo Bologna – Palermo … neanche denunciare l’accaduto nei momenti immediatamente successivi alla strage.
Se l’avessero fatto l’Italia sarebbe stata accusata di alto tradimento nei confronti della NATO oltre che innescare una serie di reazioni a catena diplomatico/militari che avrebbero potuto scatenare realmente la Terza Guerra mondiale.
Parafrasando Caifa, nel Vangelo di Giovanni, la Repubblica Italiana, all’epoca, considerò molto probabilmente il fatto che forse era meglio che a morire fossero 81 uomini innocenti << per il popolo e non che perisca tutta la Nazione >>.
Ecco perché in maniera quasi ridicola e grottesca si è proceduto a restituire, sotto gli occhi di tutti, il relitto di un MIG 23 caduto, sui monti della Sila, secondo le versioni ufficiali della commissione congiunta italo/libica, il 18 luglio del 1980 a causa della mancanza di carburante.
Certo è che se l’Italia non avesse fatto parte della NATO i nostri cieli sarebbero stati inviolabili sia per i francesi, che per gli americani, così come per ogni altro Paese a noi non gradito e con assoluta probabilità gli 81 passeggeri del volo ITAVIA Bologna – Palermo sarebbero ancora tra di noi.
Invece nel 2020, dopo che l’ex Presidente Cossiga ha dichiarato nel 2007 che ad abbattere l’aereo italiano sarebbe stato un missile a risonanza e non a impatto, lanciato da un velivolo dell’Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau, Parigi continua a negare.
La stessa Francia che, nel 2011, con l’avallo della NATO, ha abbattuto Gheddafi ed ha gettato nel caos la Libia aprendo le porte ai turchi di Erdogan e buttato a mare l’Italia, continua a tacere anche se il Colonnello è morto e questo è francamente vergognoso.
Come è vergognoso il fatto che l’Italia continui a restare nella NATO anche se il pericolo comunista non esiste più, ma soprattutto perché questa organizzazione non ha mai fornito nessun aiuto per la soluzione del mistero di Ustica, una strage che ha colpito dei cittadini di un Paese alleato.
Lorenzo Valloreja
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