CORONAVIRUS E FUTURO DEI POPOLI EUROPEI

Comunque vada a finire questa faccenda, essa segnerà un solco storico, destinato a selezionare variamente i confini delle culture coinvolte.

La globalizzazione non rappresenterà più (al pari dello stress sulle esportazioni – mors tua vita mea – e sulla riduzione antisociale ed antiambientale dei costi d produzione) la questione cruciale o principale delle economie.

La sopravvivenza degli umani prenderà il sopravvento sui freddi calcoli economicistici e sarà dato più spazio alla tutela della salute, dell’integrità dei viventi, lo sviluppo di tecnologie appropriate e della domanda interna di ciascun Paese. Ma, già qui, non ci saranno tutte rose e fiori se le risorse per attuare il cambiamento e sostenerlo risulteranno insufficienti: in tal caso, la scelta drammatica – e, intendo, emblematica – dei nostri operatori sanitari riguardante a chi attaccare il tubo del respiratore (se questi ultimi saranno insufficienti) tra ad, esempio, pazienti anziani o giovani, esploderà in tutta la sua prospettiva culturale. Qualche liberista si rallegrerà dell’aiuto che le difficoltà contabili forniranno al contrasto naturale di un invecchiamento troppo prolungato; ma l’orrore, alternativo a possibili e auspicabili soluzione è alle porte.

Adesso l’Europa è chiamata a battere un colpo: niente fu fatto per aiutare l’Italia assediata da migranti in fuga (salvo poi individuare nella conseguenza di ciò, le orde salviniane, il massimo dei pericoli); niente è stato fatto per sottrarre l’Europa stessa ad un isolamento insostenibile; lo spauracchio dei Turchi – che lasciano invadere la povera Grecia dai fuggiaschi siriani – si ripete in forma di farsa tragica a distanza di secoli.

Tra qualche settimana tutti i Paesi dell’Europa dovranno affrontare i problemi che ha oggi l’Italia; la Germania, come suo solito, ha scelto la via più intelligente: non ci sono vittime di Coronavirus, ma per altre patologie concomitanti, debilitanti, pregresse…le basterà?

La “Disunione” Europea dovrà trasformarsi in una Confederazione dove ciascun Paese possa governarsi autonomamente in una logica di rispetto reciproco.

Le guerre mondiali furono conseguenza del contrario: un’aggressività dovuta alle pretese dei creditori che mettevano in difficoltà i debitori; oggi uno scenario europeo simile è quindi possibile oppure evitabile se si  avvia un ragionamento sulla trasformazione del debito in un’occasione finanziaria invece che in un ricatto senza vie di uscita.

Il debitore dovrebbe essere messo in condizione di sviluppare le proprie risorse e, senza soffocare, contribuire al generale buon andamento degli affari e della vita sociale.

Dietro ai problemi sanitari, ambientali e sociali correnti, infatti, si trova un fattore preponderante: quell’incertezza non solo per i più deboli (che sfocia nel panico e nelle paure, madri della disperazione e delle dittature), ma anche dei ceti dominanti che risultano ormai, evidentemente, privi di soluzioni.

Oggi il rilancio di un’idea sostenibile di Europa non può che poggiare sulla ripresa delle due istituzioni in crisi, gli Stati e le banche.

I primi si riprenderanno veramente e potranno rappresentare l’ossatura portante di un nuovo progetto, se recupereranno appieno la loro valenza di soggetti sovrani (di quella sovranità che la nostra Costituzione attribuisce al popolo, pur contro ogni rigurgito demagogico): per questo sarà necessario, a fianco della moneta internazionale – l’euro – far viaggiare delle valute a sola circolazione nazionale, limitatamente alle esigenze ed alle potenzialità di ciascun Paese.

Diversamente, il giro di boa del Coronavirus si rivelerà la tomba della democrazia, dei buoni rapporti tra cittadini e Istituzioni, della possibilità di esprimere vocazioni e talenti.

Questa crisi della globalizzazione sta portando acqua al mulino del nazionalismo: occorre che quest’ultimo significhi Patria e non separazione tra i popoli, ma fratellanza nel rispetto di tutti.

Da questo sarà possibile ripartire, ma eludendo il vecchio progetto liberista e multinazionale del superamento degli Stati espressione di un’identità culturale riconosciuta dagli stessi partecipanti.

Per quanto riguarda le altre istituzioni in crisi, le banche, occorrerà ritornare al credito, destinando le altre attività (finanziarie e speculative) a soggetti appositi che potranno dare un apporto all’economia reale se non pretenderanno di creare titoli e mezzi monetari oltre le prospettive di sviluppo dell’economia reale stessa.

A queste due condizioni – Stati che possano fare gli Stati e banche che facciano le banche – la parentesi del Coronavirus sarà ricordata come la svolta verso un’Europa migliore.

Nino Galloni

One Response to CORONAVIRUS E FUTURO DEI POPOLI EUROPEI

  1. Matilde Ceppari ha detto:

    verissimo

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