DA REAGAN A TRUMP, PASSANDO PER CLINTON, LA POLITICA AMERICANA NON SI SMENTISCE MAI: QUANDO CI SONO PROBLEMI INTERNI C’E’ SEMPRE QUALCHE INCENDIO DA INNESCARE IN GIRO PER IL MONDO.
Che Trump non sia un guerrafondaio ma un semplice affarista è convinzione ormai notoria di questo mio giornale e penso anche dei nostri cari lettori, ma allo stesso modo è di pubblico dominio che alle elezioni presidenziali statunitensi del 2020 manca meno di un anno, votazioni che, per chi se ne fosse dimenticato, si svolgeranno tra impeachment vari, dossier riguardo presunte intromissioni russe e altrettante supposte molteplici molestie sessuali.
Ora, è questo, per il Tycoon, l’humus nel quale è maturata l’idea di dare seguito alle spinte revansciste della lobby militare statunitense e nello specifico, del Pentagono.
L’attentato americano a Bagdad (perché, al netto del precedente attacco all’ambasciata americana del 31 dicembre scorso nella capitale irachena, di questo si tratta, visto che l’operazione è stata condotta su di un Paese Terzo, senza avvisare le autorità locali) che ha causato la morte del Generale Qasem Soleimani – comandante delle Guardie iraniane della Rivoluzione, capo della squadra d’elite per le operazioni più segrete, e soprattutto uomo chiave del regime degli ayatollah – causerà lo scoppio della Terza Guerra Mondiale?
Fortunatamente, ritengo proprio di no, anche se le cancellerie di Russia e Cina non hanno esitato a condannare l’eliminazione del Generale Persiano.
Mosca infatti considera: <<l’omicidio di Soleimani in un attacco missilistico americano … come un passo rischioso che porterà a un aumento della tensione in tutta la regione”mentre la Cina, per bocca del proprio Ministro degli Esteri, Geng Shuang, ha fatto sapere che: << si è sempre opposta all’uso della forza nelle relazioni internazionali (pertanto si esorta) le parti interessate, in particolare gli Stati Uniti, a mantenere la calma e ad esercitare moderazione per evitare ulteriori tensioni crescenti >> che, tradotto dal linguaggio diplomatico a quello corrente, equivale, al momento, ad una semplice tirata d’orecchi e nulla più.
Ma cosa ci faceva l’eroe della Guerra Civile Siriana, Qasem Soleimani, lì a Bagdad? Semplice, tutelava gli interessi di Teheran in quell’angolo di mondo, ricordiamo infatti che a seguito della lotta all’ISIL prima e dell’annunciato ritiro degli statunitensi nel Natale 2018, il vuoto lasciato dagli americani è stato progressivamente colmato dai successi militari iraniani acquisiti su tutti i fronti di battaglia e la Repubblica Islamica Sciita, per la prima volta dalla propria nascita, controlla di fatto il territorio di quello che fu il suo più grande e storico nemico, l’Iraq.
In conseguenza di ciò, l’Iran ha ampliato la sua sfera d’influenza in zona non perché volesse impadronirsi dell’intera “Mesopotamia” ma perché altri glielo hanno permesso con le loro iniziative (si veda in primis l’abbattimento del regime di Saddam).
Stante così le cose l’azione ora spetta ai Pasdaran i quali, giustamente, hanno promesso delle rappresaglie nei confronti di Washington, ma cosa mai potrebbero fare?
Le prospettive di una guerra su vasta scala sono remote, non vi sono al momento le condizioni ed allora?
È molto probabile che Teheran opti per un omicidio eccellente: l’eliminazione di qualche alta carica statunitense che rivesta un qualche ruolo di rilievo nella vicenda mediorientale.
In tal caso, al di là del reale valore politico della perdita di Soleimani che è certamente “incalcolabile” – infatti, con molta probabilità, qualora fosse rimasto illeso, da qui a qualche mese sarebbe assurto a qualche carica ministeriale – una simile risposta potrebbe essere considerata simmetrica e proporzionata, salvando così da un lato la faccia agli Ayatollah e dall’altro rasserenando chi tra gli alti ufficiali iraniani avrà l’onore di succedergli.
In tutto questo turbinio di eventi i nostri militari sono in pericolo? Credo proprio di no, ma di sicuro è in pericolo ogni giorno di più il nostro Paese. In che senso?
Bene, cerchierò allora di essere più chiaro.
La nostra povera Italia è in pericolo ogni qualvolta la nostra classe politica:
- Sposa scioccamente la causa atlantica senza rendersi conto che, oggi giorno, gli avversari degli Stati Uniti non sono più nostri avversari, semmai nostri clienti quando non anche amici (vedi proprio caso dell’Iran e della Russia);
- Persegue uno sterile pacifismo ideologico convinto che una buona parola, da sola, passa dirimere più controversie di quanto non lo faccia già una buona parola accompagnata da una bella pistola;
- Continua ad avere i sensi di colpa per un passato storico coloniale che non le appartiene ed in nome di un becero politicamente corretto si astiene dall’intervenire la dove necessariamente dovrebbe (vedi caso dell’aiuto militare richiestoci sia in Tripolitania da Sarraj che dalle autorità Eritree nel corno d’Africa);
- Non colma i vuoti di potere, in campo internazionale, con la propria presenza, qualora ciò gli si palesi dinnanzi;
- Si affida o spera, nell’intermediazione di organi del tutto ininfluenti e controproducenti come l’Unione Europea.
Queste sono le uniche certezze nelle prime ore di questo nuovo decennio.
Lorenzo Valloreja
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