UN PRESUNTO “ASSASSINO” NON DEVE ESSERE BENDATO! NO DI CERTO … VORRA’ DIRE CHE LA PROSSIMA VOLTA, IN ATTESA DELL’INTERROGATORIO, GLI SI OFFRIRA’ DIRETTAMENTE UNA FRITTURINA DI PESCE E UN BUON BICCHIERE DI VINO BIANCO … SEMPRE CHE SIA DI SUO GRADIMENTO.
Che la nostra società sia in crisi è sotto gli occhi di tutti e se volessimo fare un parallelismo con altre epoche storiche potremmo di certo paragonare la nostra stagione culturale al periodo riguardante la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.
All’epoca ciò che portò al collasso del sistema fu:
- Il cambio della propria morale di riferimento a seguito della perdita degli antichi valori religiosi preesistenti;
- Il verificarsi di diverse ondate immigratorie incontrollate;
- Un incredibile calo demografico;
- Il verificarsi di una terribile crisi economico/produttiva;
- La perdita della cosiddetta coesione sociale, dovuta all’enorme squilibrio nella distribuzione della ricchezza: lusso eccessivo per pochissimi privilegiati e povertà estrema per la grande massa dei contadini e del proletariato urbano;
- La mancanza di consenso nei confronti del governo centrale, causata anche dalla degenerazione burocratica: da una parte corruzione sistematica, dall’altra eccessivo peso fiscale che finiva per gravare sui ceti meno abbienti;
- Un Continuo incepparsi del sistema “costituzionale”, con il governo centrale condizionato dallo strapotere di altri poteri.
Oggi a questi fattori dovremmo aggiungere il fatto che si parla troppo ed a sproposito.
Ma che cosa voglio affermare con questa frase? Forse che la libertà di espressione non sia un valore? O che questo Paese ha bisogno di una dittatura?
No di certo, non intendo dire questo.
La democrazia è un valore altissimo e nobilissimo che va difeso con ogni mezzo, così come la libertà d’espressione, tuttavia parafrasando la nota frase di Martin Luther King: << La mia libertà finisce la dove comincia la vostra >>, è evidente che non tutto può essere concesso a chiunque, ma soprattutto, determinate cose, per senso di professionalità, anche se devono essere fatte, è giusto che non vengano palesate al pubblico.
Nello specifico mi riferisco alla vicenda del californiano Christian Gabriel Natale Hjort, indagato insieme al suo connazionale, Finnegan Lee Elder, per aver concorso all’omicidio del Vice Brigadiere Mario Cerciello Rega, ma che, a differenza di quest’ultimo – che si è accollato, in sede di interrogatorio, la responsabilità delle 11 coltellate mortali – è stato ritratto, da un milite dell’arma, seduto su di una sedia all’interno della caserma che li ha ospitati per l’interrogatorio, con il capo chinato e gli occhi bendati da un foulard, mentre le mani erano costrette dietro la schiena.
Ora che una simile scena sia circolata sui social è gravissimo non tanto per l’evento in se e per se – infatti, a scanso di equivoci, è bene ribadirlo, al “prigioniero” in questione non è che siano stati applicati degli elettrodi ai genitali, ne mi sembra che abbia subito altra violenza fisica – quanto per il fatto che una simile azione ritratta e pubblicizzata denoti, principalmente, la scarsa professionalità di chi ha scattato la foto.
Se la mania di Instagram e similari imperversa anche tra le forze dell’ordine in servizio allora siamo belli e che finiti!
È chiaro che una volta che l’immagine è stata diffusa si è alzato un doveroso polverone – e giù gli alti Comandi a dire che l’atto è deprecabile, il Presidente Conte a sottolineare che bendare un individuo in caserma è illegale, fino all’accusa di metodi da “far west” da parte del Presidente della Camera Penale di Roma, Cesare Placanica – ma a tutti costoro che giustamente obiettano determinate procedure poco ortodosse mi sento in dovere di ricordare che la vera vittima, in tutta questa storia, si chiama Mario Cerciello Rega, un giovane uomo di 35 anni, ucciso a neanche 50 giorni dal proprio matrimonio.
Mario è, purtroppo per lui, assurto a simbolo di un’intera categoria, quelli dei Servitori dello Stato che, con paghe da fame e ancora peggio armati e dotati, devono letteralmente combattere a mani nude contro la criminalità.
Delinquenza, quest’ultima, che nel nostro Paese, nella maggioranza dei casi, per mille problematiche legislative, è spesso avvantaggiata.
In linea di principio, i presidenti Conte e Placanica, gli alti comandi, i ben pensanti e chi più ne ha più ne metta, hanno tutti ragione, poi però, questa ragione deve fare i conti con la dura realtà: con i fatti oggettivi, e, onestamente, o lo Stato da seriamente dei mezzi e dei poteri reali ai propri servitori (leggi che li tutelano, regale d’ingaggio meno fantasiose) o il sistema prima o poi imploderà su se stesso.
Io sono un ex paracadutista ed ho nel mio cuore una data molto importante per noi della Folgore: il 02 luglio.
Ebbene, 26 anni fa, a Mogadiscio, dei miei “fratelli” perirono nella cosiddetta “Battaglia del Pastificio”, senza contare le 20 e più persone che rimasero ferite, tra queste anche la medaglia d’oro Gianfranco Paglia.
In quella occasione la terra di Somalia non si bagnò tanto del sangue degli italiani a causa dell’imboscata delle milizie del Generale Aidid, le quali non è che avevano armi più potenti del nostro contingente, quanto per le penose regole d’ingaggio che la Folgore aveva.
Mentre i politici discutevano a Roma se era possibile o meno aprire il fuoco per uccidere due colonne mobili italiane era rimaste assediate per ben 3 ore.
Alla fine, quando gli elicotteri Mangusta, che sorvolavano l’area dall’inizio degli scontri, poterono aprire il fuoco così come i carri armati di scorta e gli incursori del Col Moschin poterono operare ad altezza d’uomo, casa per casa, le resistenze somale cessarono ed i soldati italiani poterono rientrare alla base.
Costo di quello scontro? 3 morti e 22 feriti, e tutto perché sarebbe stato disumano sparare da subito su quella folla armata inizialmente di sole pietre e bastoni.
Allo stesso modo oggi ci indigniamo se solo lontanamente un indagato viene bendato, certo, un simile comportamento è fuori dalla prassi ma penso che sia altrettanto fuori dalla logica comune non consentire a dei poliziotti di usare per primi un’arma.
Gli Stati Uniti, ad esempio, la Nazione da cui provengono i due presunti assassini, hanno già manifestato, attraverso i loro media, il disappunto per il trattamento riservato a Christian Gabriel Natale Hjort, ma a questo Paese vorrei ricordare come, all’interno dei propri confini, vengono trattati coloro che non rispondono adeguatamente ad una pattuglia che effettui un controllo stradale: in tale frangente un malcapitato potrebbe non solo rischiare la galera ma anche la vita.
Comunque sia, per far contenti i nostri alleati d’oltreoceano, vorrà dire che la prossima volta che le nostre forze dell’ordine fermeranno un presunto “assassino”, anziché bendarlo, sarà fatto loro obbligo di offrirgli una fritturina di pesce e un buon bicchiere di vino bianco d’accompagno … sempre che sia di suo gradimento.
Lorenzo Valloreja
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