LE AUTOSTRADE DEVONO ESSERE NUOVAMENTE NAZIONALIZZATE
In questi ultimi giorni, a ragione o a torto, molti hanno scritto riguardo al crollo del Ponte Morandi. Mi permetto, quindi, di unirmi al coro degli analisti e degli opinionisti, non per ammorbare ulteriormente un pubblico di sicuro disorientato e disinformato, sulle vicende che hanno portato a questa immane sciagura, ma solo perché il sottoscritto è stato uno dei pochi che, nel lontano 2004 – durante la sua ultima campagna elettorale a Presidente della Provincia di Pescara – si permise di parlare, per primo, di nazionalizzazione delle autostrade italiane. Quest’idea, allora considerata balzana e per certi versi anche un po’ naif, mi era venuta a seguito delle seguenti mie considerazioni:
- Il privato, giustamente, deve fare il privato e di conseguenza in ogni sua operazione – sia essa di realizzazione di un’opera, così come di gestione o di semplice manutenzione – deve realizzare un’utile. Da ciò consegue che, per il cittadino, l’atto di fruizione del bene, dato in gestione al privato, avrà sempre un costo di utilizzo maggiore poiché a tutte le spese considerate bisognerà puntualmente aggiungere il guadagno del gestore. Che, detto in maniera ancora più semplice, equivale a dire che mentre lo Stato può chiudere il proprio bilancio sia in parità, cioè a zero, che anche in perdita, nell’impresa privata ciò non è possibile. Ecco perché la scuola, la sanità, la sicurezza, così come i trasporti, i quali rappresentano dei servizi economicamente non quantificabili, non possono essere dati in alcun modo in gestione ai privati poiché questi ultimi non faranno mai gli interessi della collettività ma, semmai, possono perseguire solo il proprio utile e quello dei loro azionisti;
- L’Italia – lunga più di 1000 km e larga mediamente 250, che per il 77% è fatta di monti e colline – ha un territorio molto impervio che negli anni del boom economico è stato reso mansueto da una marea di opere stradali avveniristiche realizzate e dislocate, lungo gli oltre 845 mila km della propria rete stradale asfaltata. Da ciò consegue che, il nostro Paese è, per fragilità ambientale e dislocazione delle opere stradali, uno dei più costosi da mantenere al mondo, perché:
- Il cemento armato, nel caso di un viadotto ad esempio, posto normalmente a forze di compressione e trazione, tende a dare segnali di cedimento dopo circa 30 anni dalla propria realizzazione. In conseguenza di ciò è necessaria, su queste opere, una continua e costosa manutenzione. Ed anche se questa avvenisse puntualmente il manufatto non potrebbe durare più di 150 anni. Ciò significa, in altri termini, che l’opera in questione andrebbe rifatta, da capo, ogni 100 anni circa;
- Le politiche pro-Fiat della Prima Repubblica hanno fatto si che la rete stradale si sviluppasse a tutto discapito della rete ferroviaria. Ciò ha contribuito notevolmente all’annoso problema del trasporto delle merci che, in Italia, avviene per oltre l’80% su gomma mentre solo per il 6% su ferro. Questa situazione ha fatto si che le strade ed i ponti italiani siano sempre più percorsi da TIR ed Autotreni, principali artefici, questi ultimi, del logorio dei manufatti sopraddetti.
Per tutto quanto pocanzi esposto a nessun privato converrebbe gestire le nostre reti stradali.
L’affare, semmai, potrebbe solo esserci qualora una classe politica collusa con i gestori consentisse, a quest’ultima, di avere, da un lato, delle clausole di gestione talmente convenienti da essere coperte dal Segreto di Stato così da evitare il pubblico scandalo e dall’altro, di applicare dei pedaggi astronomici agli automobilisti non effettuando, di contro, la dovuta manutenzione. E questo, è proprio quello che, è avvenuto riguardo al “Viadotto Morandi”, dove una società gestrice, la “Atlantia SpA”, a fronte degli attuali 38 morti, 10 feriti e 600 sfollati ha l’ardire di voler adire le vie legali per vedere garantiti i propri diritti rispetto alla revoca unilaterale della propria concessione da parte dell’attuale esecutivo Giallo/Verde.
Ma tale società si rende conto che, oltre ai danni materiali dovuti al crollo del ponte, l’Italia ha subito un danno d’immagine molto più grave e costoso del tonfo borsistico subito dalla stessa “Atlantia” in queste ore? Infatti quale turista straniero avrebbe più il coraggio di solcare le nostre strade sapendo che, da un momento all’altro, potrebbe ritrovarsi dinnanzi al Creatore perché la strada sottostante potrebbe inghiottirlo?
Per rifuggire ogni paura e dubbio lo Stato ha una sola soluzione percorribile, quella cioè della fermezza e della prontezza. In tal senso bisogna:
- Individuare immediatamente i colpevoli, colpirli e punirli in maniera esemplare;
- Ricostruire un ponte avveniristico e sicuro, in men che non si dica;
- Cambiare radicalmente la gestione delle strade ed autostrade.
In tutto ciò, al di là delle chiacchiere, l’Europa non ci sarà di sicuro d’aiuto ma solo d’ostacolo e i 14 miliardi di Euro sbandierati dal Commissario al Bilancio Europeo, Guenter Oettinger, non coprono neanche ¼ del nostro fabbisogno, al massimo ci possiamo asfaltare le strade. Ecco perché altro nodo al pettine dell’attuale esecutivo Giallo/Verde deve necessariamente essere l’uscita dell’Italia dall’Europa. Questo Paese, se vuole tornare a vivere non deve più avere vincoli di bilancio ne essere sottoposto a lacci e laccioli dettati da Bruxelles.
Lorenzo Valloreja
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