PER NEWSGUARD DIRE LA VERITÀ DIVENTA “DISINFORMAZIONE”. È IL PARADOSSO DELL’INFORMAZIONE LIBERA

Capisco che i poteri e il mondo legato alla galassia DEM oggi – dopo la rielezione di Trump e i suoi 50 ordini esecutivi in poco più di un mese, ossia più di uno al giorno – siano completamente allo sbando. Tuttavia, in qualità di Direttore Responsabile de L’Ortis, giornale online, ritengo che la campagna lanciata da NewsGuard, e prontamente rilanciata dalla stragrande maggioranza dei media occidentali, non sia soltanto sinceramente e drammaticamente vergognosa, ma anche lesiva e diffamatoria nei confronti di tutti quei giornalisti che, come il sottoscritto, possono essere orgogliosamente annoverati tra le voci intellettualmente oneste del dissenso.

Infatti, NewsGuard – che altro non è se non un’organizzazione che valuta l’affidabilità e la credibilità delle fonti di notizie online e che, in altre parole, dovrebbe scovare le cosiddette fake news utilizzando un team di giornalisti per analizzare siti di informazione e assegnare loro un punteggio basato su criteri di trasparenza, accuratezza e responsabilità editoriale – non si sa bene però con quale autorità… e dietro mandato di chi, forse divino… – ha denunciato che “oltre 3 milioni di articoli pro-Russia hanno infettato i sistemi di intelligenza artificiale”.

Nello specifico, secondo gli “scienziati” e detentori dell’unica verità possibile, la rete Pravda (Verità), di cui ammetto di essere stato all’oscuro fino a questo articolo, ha diffuso, attraverso più di 150 siti web pro-Mosca, da aprile 2022 a febbraio 2025, un totale di 207 affermazioni false. Tra queste, per esempio, l’accusa secondo cui gli Stati Uniti gestiscano laboratori segreti di armi biologiche in Ucraina, o che i residenti di lingua russa nel Donbass siano stati perseguitati, così come l’ipotesi che il Presidente Zelensky abbia abusato degli aiuti militari statunitensi per accumulare fortune personali. Tutti fatti che, secondo NewsGuard, sarebbero incontrovertibilmente falsi, mentre, a mio modesto parere, sono eventi più che reali e che, se la pace sarà fatta nei tempi e nei modi stabiliti da Trump, verranno drammaticamente confermati.

Ma la cosa peggiore, sempre secondo il mio modesto punto di vista, è che la narrativa sgradita ai signori di NewsGuard non solo sarebbe veicolata dai 150 siti incriminati – tra cui ben 44 in lingua italiana – ma che questi articoli non sarebbero nemmeno generati da persone, bensì da chatbot: programmi informatici creati per simulare l’inventiva e il dialogo umano.

Ora, anche consultando il sito di NewsGuard – ad eccezione delle prevedibili TASS, RT e Sputnik News – non si riesce ad avere l’elenco dettagliato degli altri presunti produttori di fake news. Quindi, considerando che né Valloreja né i suoi collaboratori sono giornalisti noti alla stragrande maggioranza del grande pubblico, chiunque voglia dare credito a questa narrativa sarebbe autorizzato a pensare che un giornale come L’Ortis – anche se iscritto al Registro della Stampa presso il Tribunale di Pescara e al R.O.C., diretto da un giornalista in piena regola e iscritto all’Ordine Nazionale dei Giornalisti – nonostante abbia pubblicato online, dal 2018 ad oggi, più di 2000 articoli tutti firmati, sia seguito da 7.500 persone sulla propria pagina Facebook ed abbia registrato quasi 1 milione di ingressi sul proprio sito nello stesso periodo temporale, sia in realtà scritto e realizzato, nella migliore delle ipotesi, da un chatbot e, nella peggiore, da prezzolati del Cremlino.

Nella realtà, tuttavia, né l’una né l’altra affermazione corrispondono al vero. Al contrario, noi crediamo fermamente in ciò che scriviamo, perché la nostra lettura dei fatti è suffragata dalla logica e dal raziocinio. Ciò che facciamo, lo facciamo gratis et amore Dei, non perché ce lo abbia chiesto qualcuno, ma semplicemente perché crediamo che un’altra idea di Italia sia possibile, e quell’idea si riflette in ciò che scriviamo e affermiamo. In altre parole, siamo intellettualmente onesti e in buona fede.

Al contrario, sono proprio coloro che muovono queste accuse alla cosiddetta controinformazione a farlo per mero interesse economico e personale/editoriale. Questi giornalisti e analisti non solo scrivono perché pagati, ma anche perché vicini a un mondo – quello democratico americano – che ha consentito loro di fare carriera e ammantarsi di prestigio, costi quel che costi, anche a discapito della verità.

In altre parole, qui la partigianeria la fa da padrona e, secondo la logica ormai nauseabonda dell’aggredito e dell’aggressore, anche se qualcuno affermasse una semplice realtà tangibile – come il fatto che il Presidente Putin, in ambito istituzionale, si vesta sempre in maniera formale ed elegante – verrebbe senz’altro accusato di putinismo. Per costoro, infatti, Putin si vestirebbe, a prescindere, come un pagliaccio, perché nessuna accezione positiva può mai essere accostata a quello che, per gli apparati DEM, è oggi l’incarnazione del male assoluto.

Allo stesso modo, sempre per partigianeria, ogni scricchiolio del consenso popolare al sistema che fin qui ha governato il blocco occidentale viene attribuito alle interferenze russe, e non alla crisi di un sistema malato, incapace di rispondere ai bisogni e alle necessità della stragrande maggioranza della popolazione.

È stato così nelle elezioni presidenziali in Romania – poi annullate – così come nelle accuse mosse per la prima elezione di Trump nel 2016, per il successo di Le Pen in Francia o per la crescita di AfD in Germania.

Certo, la propaganda e le ingerenze estere sono sempre esistite, ma, così come nessun essere umano – per quanto efficace possa essere una campagna pubblicitaria – potrebbe mai convincersi che la benzina, anziché carburante, possa essere usata come tonico rinfrescante da ingerire a fine pasto, allo stesso modo, come ha detto il Vicepresidente J.D. Vance a Monaco: Se la vostra democrazia può essere distrutta con poche centinaia di migliaia di dollari di pubblicità digitale da un Paese straniero, allora bisogna ammettere che essa non era molto forte fin dall’inizio.”

Dunque, chi propaganda  fake news? Quelli che, come noi, lottano onestamente per le proprie idee o chi, invece, vuole solo salvare il proprio status quo?

Lorenzo Valloreja

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