UN BRACCIO TESO AVANTI A SE’ FA ANCORA TANTA PAURA IN EUROPA (MOLTO MENO IN AMERICA)

Corneliu Zelea Codreanu, l’eroe della Tradizione romena assassinato nel 1938, insegnava che il saluto romano “è un saluto al cielo, alle altezze, e al sole, simbolo della vittoria della luce e del bene”.

E’ incerta la esatta riportabilità all’ antica Roma del gesto di levare il rigido braccio destro dinanzi a sé con leggera angolazione verso l’alto palmo della mano verso l’esterno, dato che ovviamente, non vi sono testimonianze fotografiche o in video di come i romani salutassero. Vi era anche il saluto cosiddetto legionario (il pugno destro battuto sul cuore) o quello gladiatorio (stringersi reciprocamente gli avambracci).

In realtà, le testimonianze ad esempio scultoree vi sono (ad esempio, una famosa statua di Cesare Ottaviano Augusto o quella ancora più nota di Marco Aurelio sul Campidoglio). Però la filologia comportamentale e antropologica ha cercato di confondere le idee e dimostrare, a tutti costi, che nella gestualità del fascismo (e poi, dei fascismi) tutto sia mistificazione e fantasia antiquaria.

Peccato che il fascio littorio sia irrimediabilmente e indubbiamente romano quanto i mattoni del Colosseo: troppe sono le prove, dalle monete sino a infiniti bassorilievi.

La verità sta, come spesso avviene, anche qui nel mezzo. Penso si possa tranquillamente affermare che nessun romano stesse dalla mattina alla sera a sollevare il braccio, e che diversi fossero i modi di salutare, tra cui appunto il levare il braccio destro anche se, stando alle testimonianze plastiche succitate, il gesto doveva essere meno rigido e formale di quanto poi codificato da Mussolini.

Mentre in Italia l’apparato poliziesco-giudiziario, dopo ben ottanta anni dall’irrimediabile e catastrofico crollo dei fascismi (dall’Italia alla Germania senza dimenticare ad esempio Ungheria o Francia di Vichy), ancora sembra surrealisticamente impensierito da quel particolare movimento del braccio destro, esso pare godere di una strana (all’apparenza) seconda gioventù negli USA (ove d’altronde, come in Francia, il fascio littorio compare nell’emblema di stato).

Hanno suscitato tanto scalpore quello di Elon Musk (preceduto da un vigoroso saluto legionario, probabilmente rifacendosi al gesto dei suprematisti bianchi di inizio Novecento), e in questi giorni quello di Steve Bannon alla grande kermesse dei conservatori (CPCA). Ammesso che essi entrambi siano davvero il saluto che la stampa main stream definisce soprattutto “fascista” o “nazista”. E non piuttosto, uno spontaneo quanto ancestrale gesto di speranza e forza benefica. Come al contrario, il pugno chiuso è parimenti spontaneo e ancestrale segno di rabbia e ribellione o quanto meno di opposizione (fatto proprio tra gli altri, proprio da Donald Trump). Diciamo pure che il pugno chiuso sta alla minaccia come il palmo aperto della mano alla solarità e alla serenità.

Tale radice ancestrale del movimento corporeo più discusso al mondo è ravvisabile anche nella lettura nazista della motivazione della sua adozione, che ne rivendicava l’uso pure presso i germani.  Avvalorandone quindi, la natura più generalmente indo-europea.

Vi sono una profonda libertà e retaggio tradizionale che si perdono nella notte dei tempi nelle gestualità comunitarie e di appartenenza, ma anche nella istintività fisica del singolo, che nessuna isterica demonizzazione potrà mai abolire.

Cosa è invece rimasto del volgare gesto da ammiccamento di osteria del contatto gomito a gomito all’epoca della dittatura sanitaria instaurata cinque anni fa?

Unicuique suum: al sottomesso mondo “occidentale e liberaldemocratico” della pandemia, una transeunte artificiosa volgarità imposta dal potere.

A mio personale avviso, qualunque movimento del proprio corpo (braccia e mani comprese) dovrebbe ricadere nella più assoluta sfera di libertà individuale. Ma questo, ovviamente, a chi all’epoca faceva inseguire dai gendarmi su spiagge a ogni latitudine pericolosi quanto solitari maniaci dell’abbronzatura,  suona come una pericolosa bestemmia.

A. Martino  

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