IL FOLLE RAPIMENTO DEL NEONATO A COSENZA CI SUGGERISCE CHE METTERE AL MONDO UN FIGLIO, PER MOLTI, E’ORMAI UN PROBLEMA DESTABILIZZANTE. IL RIMEDIO VI SAREBBE….

Riguardo l’incredibile fatto di Cosenza, fiumi di inchiostro (anche digitali) e approfondimenti televisivi hanno ormai chiarito esaurientemente le dinamiche con cui una coppia di coniugi (ma è al momento orientamento degli inquirenti considerare secondario il ruolo del marito) avrebbe sottratto un neonato dall’ospedale, per presentarlo come proprio figlio addirittura a una festa da tempo pianificata.

Non mi interessa quindi, sviscerare qui il fatto di cronaca più o meno nera in sé, ma vorrei solo enunciare alcuni spunti di riflessione, cui ogni lettore, poi, potrà risposte eventualmente differenti dalle mie.

Inizierei dal livello socioculturale relativamente alto della coppia: architetto lei, mediatore culturale (una specie di assistente sociale per immigrati) lui. La cultura o piuttosto la  formazione scolastica anche universitaria appaiono inani, fini a se stesse, appiccicate su visioni del mondo e della vita sostanzialmente autistiche, cui forse proprio il “pezzo di carta” fornisce una folle sicurezza di sé e delle proprie demenziali scelte. Non ci si è neanche resi conto della improbabilità estrema, per il mondo esterno alle proprie asfittiche e psicotiche mura di casa, che un uomo di colore e una donna bianca mettano al mondo un bimbo bianco e non mezzo sangue.

Si direbbe quindi che, tanto un laureato o un cosiddetto professionista quanto il più illetterato confondano il “desiderio” con il “diritto”, e che esigano “inclusione” di qualunque proprio stranezza nel tessuto sociale circostante. E in effetti, la neolingua verso cui solo dal già epocale discorso di Trump al suo insediamento del 20 gennaio è iniziata una reazione globale, va in questa direzione semantica. Se quindi qualcuno “vuole” un figlio ne ha “diritto”. Anche se ovviamente e grazie a Dio, quello di Cosenza è un caso limite sui cui dettagli e moventi più profondi la psicologia forense ancora non si pronuncia formalmente.

E siamo arrivati al punto focale della questione. Ovvero, che avere un figlio, nell’attuale società “occidentale” ma anche in quella giapponese etc. laddove lo scardinamento in senso lavorativo extrafamiliare della donna si è fatto abbastanza incisivo, è assai meno semplice e scontato di un tempo. A parte il fatto che crescerlo e mantenerlo è assai più costoso che nel passato a causa del consumismo non solo individuale cui i genitori si arrendono troppo facilmente (basti pensare ai telefonini già dalla scuola elementare, ma anche al consumismo della scuola stessa con richieste praticamente quotidiane di questo o quel materiale di cancelleria o di questo o quel contributo).

Al di là quindi delle remore dell’uomo, decisivo è l’atteggiamento della potenziale madre che spesso, vede la maternità come una vera e propria disgrazia (ricorrendo a dosi massicce di anticoncezionali se non all’aborto) laddove poi, meno raramente di quanto si pensi anzi comunemente, maturare una improvvisa e compulsiva voglia di maternità fino all’irrazionale. Disperato desiderio oltre che vendetta della Natura che va a cozzare però, e qua non si riesce proprio a intervenire con nessuna legge o sentenza o non so che, con il cosiddetto orologio biologico “cinico e baro”  statuente che la massima fertilità della donna si svolga fra i sedici-diciotto (non è pedoflia, ma purtroppo lo dicono le nude e crude nozioni mediche) e i venticinque-ventotto anni. Era d’altronde il motivo dei precocissimi matrimoni nelle famiglie reali.

Impensabile nella odierna società la serena rassegnazione dei nostri avi che, pur a volte con sincera pena, se ne facevano una ragione con un “ Dio non ha voluto”, o semplicemente vivevano senza o ricorrevano all’ “uovo del cuculo”  . Un tempo, infatti, si “procreava” ossia si creava ma solo per il Dono di Qualcuno, non vi era questa ansia prometeica di mettere al mondo un rampollo grazie alla capienza del portafoglio. Dalla pro-creazione alla creazione tutta laicizzata o addirittura alla pro-duzione. Cercare di avere un figlio a ridosso dei quaranta anni, quindi, non solo è sconsigliabile per la non scarsissima probabilità di sindromi cromosomiche del genere down ma anche sempre più difficile proporzionalmente alla età della aspirante genitrice (ma anche uno spermatozoo “vecchio” ha le sue insidie).

Questo quadro, intuibilmente da crollo della natalità a prescindere da qualunque volume di statistiche da centomila euro cadauna, ha anche dei costi sociali, culturali, economici: vedi pensionamenti sempre più tardivi e meno ricchi, e sostituzione etnica.

Quando nel 1978 avvenne, se non sbaglio in Regno Unito, la prima fecondazione in vitro, il clamore in tutto il mondo fu enorme: vi era, e giustamente, la percezione di una nuova era per la riproduzione umana, ci si chiedeva persino come sarebbe stato questo essere così nato, quasi fosse un alieno. Da allora, chissà quanti milioni di embrioni si sono così aperti alla vita.

E da allora, infinite le varianti di bioingegneria umana: fecondazione omologa, eterologa, utero in affitto. Nuovi mercati ed enormi interessi economici, tra l’altro implementati dall’esplosione dei “diritti” arcobalenici. Forse una presidenza Harris negli USA, avrebbe visto (distopia totalmente folle ma non improbabile nella mente e negli affari woke) il divieto di gravidanze “tradizionali” implicitamente omofobiche e non “tracciabili” o “certificabili”.

Soluzione intelligente, con molte probabilità atta a evitare pazzie come quella di Cosenza, infiniti malesseri esistenziali che piacciano o no oggi ci sono, oltre che costosissimi trattamenti quali overdose ormonali, e a volgere in primavera l’inverno demografico, vi sarebbe. Ovvero la istituzione di una banca dell’ovulo e dello spermatozoo in cui il cittadino e cittadina giovani anzi giovanissimi, ma non ancora in grado di affrontare la maternità o la paternità possa effettuare un deposito biologico assimilabile al gruzzolo messo da parte per arredare la futura casa piuttosto che per acquistare l’automobile nuova eccetera. I costi per il servizio sanitario nazionale (peraltro non esorbitanti, si tratterebbe fondamentalmente e semplicemente, di tenere congelato del materiale biologico) sarebbero sicuramente quanto largamente compensati dai benefici materiali per gli stati derivanti dalla rivitalizzazione dei popoli occidentali.

Come visto, a livello soprattutto previdenziale, ma anche fiscale.

Ma la volontà di evitare la sostituzione etnica, nei palazzi del potere, vi è oppure no?  

A. Martino

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