LETTERA APERTA ALLA MELONI
Eccellentissimo Signor Presidente del Consiglio,
Tra pochi giorni sarà Natale e, inevitabilmente, come ad ogni celebrazione di questo Santo Anniversario, il cuore ed il pensiero di ogni singolo cittadino italiano sono rivolti verso la pace, affinché essa persista o si realizzi, tanto in famiglia quanto nel mondo.
Va tuttavia osservato, come diceva San Giovanni Paolo II, che “La pace non è semplicemente assenza di guerra, ma la presenza di una giustizia che può essere raggiunta solo con duro lavoro e perseveranza”.
Personalmente, al di là della ormai stucchevole e ripetitiva narrativa sull’aggredito e sull’aggressore, in questi mille giorni e più di guerra non mi sono mai scoraggiato nel sostenere che, con il passare del tempo, la pace sarebbe divenuta sempre più vicina. Questo perché gli elementi che ne ostacolavano il raggiungimento avevano, fortunatamente, i minuti contati.
Vorrei sottolineare, in questa mia riflessione, come l’Amministrazione Biden non solo abbia scelto il muro contro muro riguardo alla crisi ucraina, ma abbia anticipato questa posizione fin dai tempi dell’emergenza Covid. Il lancio del vaccino russo Sputnik V, infatti, fu percepito dagli americani come un’operazione di soft power da parte del Cremlino. Questo portò la Casa Bianca, prima, a sanzionare i centri di ricerca che avevano sviluppato il vaccino e, successivamente, a esercitare pressioni diplomatiche eccessive affinché nel blocco occidentale venissero distribuiti esclusivamente vaccini finanziati dagli Stati Uniti, come Pfizer, Moderna e Johnson & Johnson.
In questo contesto si inserisce, a mio modesto parere, una delle vicende più controverse e tristi delle relazioni bilaterali tra Italia e Russia: l’“Operazione Dalla Russia con Amore”.
Tra il 22 e il 25 marzo 2020, in risposta alla richiesta d’aiuto del Governo Conte II e di varie associazioni italiane amiche della Russia (tra cui vi è anche quella che mi onoro di presiedere), il Presidente Putin inviò in Italia un imponente supporto umanitario. Attraverso ben 17 aerei, il Cremlino fece arrivare 106 operatori militari, tra epidemiologi e specialisti medici, oltre a ventilatori, mascherine, tute protettive e tamponi, materiali di cui il nostro Paese era, all’epoca, drammaticamente sprovvisto.
Eppure, il ringraziamento da parte di alcuni importanti giornali nazionali e di ampi settori politici si tradusse in una vergognosa quanto capziosa accusa di spionaggio. In altre parole, di fronte a un gesto di solidarietà straordinario, l’Italia ha letteralmente “morso la mano che la stava aiutando”.
Questa ingratitudine è stata ulteriormente aggravata da una successiva ondata di russofobia immotivata, manifestatasi dopo l’intervento russo nel Donbass nel 2022, attraverso azioni come:
- Il sequestro dei beni di alcuni ricchi cittadini russi in Italia;
- Il divieto di studiare autori e pensatori russi, come Tolstoj e Dostoevskij, in alcune università italiane;
- Il boicottaggio di artisti russi;
- L’assegNazione di Palazzo Ardinghelli, edificio sito in l’Aquila e restaurato grazie a un contributo di 7,2 milioni di euro donati da Mosca, per ospitare mostre di artisti ucraini.
Questi episodi possono essere definiti “contro natura” poiché non solo hanno danneggiato i nostri interessi economici (si pensi agli investimenti bilaterali persi), ma hanno anche leso la nostra posizione geopolitica, contribuendo al caos in Africa e in Medio Oriente. Soprattutto, però, vanno contro il legame storico e culturale tra Italia e Russia.
La Russia, infatti, non è solo una nostra amica: è una nostra sorella. Questo legame trova radici nei contributi straordinari di molti italiani allo sviluppo della Russia moderna: da architetti come Viotti e Rastrelli, a compositori come Salieri, matematici come Lagrange, pittori come De Nittis, esploratori come Miani e Nobile, fino a politici come Togliatti. Inoltre, i russi, pur non essendo latini, si sentono eredi della tradizione romana, tanto da considerare la loro capitale, Mosca, la “Terza Roma”.
Quest’ultima affermazione è tanto più vera se si considera che, come gli Stati Uniti, la Federazione Russa non è una semplice Nazione, ma un vero e proprio impero, con le proprie sfere d’influenza e pertinenze. Negare questo significa mentire, non a loro, ma a noi stessi.
Tuttavia, la Russia non ha mai avuto ambizioni di conquista dell’Europa. Certo, è vero: i loro eserciti marciarono fino a Parigi e in Italia, ma solo dopo che Napoleone era precedentemente arrivato a Mosca; e come vennero, così se ne andarono.
Negli ultimi 200 anni, invece, i pacifici italiani hanno invaso per ben tre volte la Russia:
- Nel 1855, con la Guerra di Crimea;
- Tra il 1919 e il 1920, supportando i bianchi nella Guerra Civile contro i bolscevichi;
- Tra il 1941 e il 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, al fianco dell’alleato tedesco.
Quante volte la Russia ha invaso l’Italia? Zero.
Nello stesso arco temporale, gli inglesi hanno invaso la Russia due volte (nella Guerra di Crimea e durante la campagna contro i rossi), gli americani una volta (durante la Guerra Civile Sovietica), e i tedeschi un’infinità di volte. Persino durante la Guerra Civile Spagnola, la Russia di Stalin si guardò bene dall’intervenire.
Dunque, dove sarebbe tutta questa aggressività ed espansionismo della Russia? Specie oggi, quando il Paese conta a malapena 140 milioni di abitanti, sparsi su una superficie grande quanto un continente e mezzo, con meno di un quarto della popolazione in età da combattimento e quindi teoricamente disponibile?
Questa considerazione è tanto più vera se osserviamo quello che è successo ultimamente in Siria, dove l’esercito russo non ha potuto aiutare, come invece ottimamente ha fatto in passato il proprio alleato Bashar al-Assad, in quanto totalmente impegnato in Ucraina.
Carl von Clausewitz sosteneva che: “La guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi”, intendendo dire che la guerra non è un fenomeno isolato o fine a sé stessa, ma uno strumento al servizio di obiettivi politici, quando gli strumenti diplomatici o pacifici falliscono. Siamo dunque sicuri che la Russia abbia tutta la responsabilità su quanto è accaduto o stia accadendo in Ucraina? O molto più probabilmente, il Cremlino ha solo una parte di responsabilità, come anche noi occidentali ne abbiamo altrettanto?
Abbiamo fatto tutto quanto era possibile per la pace, come ci aveva invitato a fare il Santo Padre? Credo proprio di no…
L’Ungheria di Orban, nostro alleato in Europa e nella NATO, unitamente al Vaticano, così come la Turchia di Erdogan, altro importante componente dell’Alleanza Atlantica, sono stati gli unici Paesi che hanno cercato seriamente di trovare una soluzione diplomatica a questo conflitto, con grande evidente beneficio soprattutto per Ankara sia a livello economico che politico, e anche in termini di prestigio internazionale.
Tutti ormai sanno come, nell’aprile del 2022, quando era stata trovata faticosamente un’intesa di pace tra Mosca e Kiev, Boris Johnson, allora Primo Ministro britannico, sia intervenuto, dietro mandato degli Stati Uniti, per convincere Volodymyr Zelensky a non accettare le condizioni proposte per un cessate il fuoco, sostenendo che l’Occidente non era pronto a supportare un accordo che favorisse la Russia. Inoltre, la Gran Bretagna assicurò al Presidente ucraino un continuo supporto militare e finanziario da parte di tutto il blocco occidentale, rafforzando così la posizione di Kiev di resistere piuttosto che negoziare in quel momento.
Ebbene, nei successivi 30 mesi, quante persone sono morte dall’una come dall’altra parte? Se non lo sa, glielo dico io: più di mezzo milione di individui. E se questi sono i numeri sotto il profilo puramente demografico, i danni alle infrastrutture, siano esse abitative, produttive o logistiche, sono letteralmente incalcolabili.
Ma queste macerie non coprono solo il suolo ucraino; esse ammantano anche le nostre strade, le nostre periferie e ovunque in Italia si faccia fatica a vivere, perché, per sostenere l’Ucraina, tutti i contribuenti hanno sborsato fiumi di denaro per finanziare la guerra. L’Italia, nello specifico, ha contribuito con circa 660 milioni di dollari in aiuti militari, 310 milioni in aiuti economici e 50 milioni in assistenza umanitaria, senza contare gli effetti nefasti sull’economia interna, come la follia di abbandonare le forniture di Gazprom , che a noi costavano solo 27 euro per megawattora (€/MWh), a favore di quelle degli Stati Uniti e di altri Paesi nordafricani. Questi ultimi hanno fatto sì che i prezzi schizzassero, nei momenti di maggiore crisi, anche oltre i 292 €/MWh, cioè dieci volte di più rispetto a quanto pagavamo in passato. Un danno che si aggira intorno ai 200 miliardi di euro. Tutti soldi che si sarebbero potuti spendere, ad esempio, in sanità, nel rifacimento delle reti idriche, vere e proprie colabrodo nazionali, o in un’infinità di opere strategiche che mancano in questo Paese.
Ma se questa è stata la ricaduta sull’Italia, al vecchio continente non è andata meglio: i Paesi europei, infatti, hanno speso o impegnato oltre 1.000 miliardi di dollari, sia in termini diretti che indiretti, tra assistenza militare, economica e umanitaria.
E se vogliamo essere seri, e dirla tutta, questa è la principale ragione per cui gli attuali governi francese e inglese vorrebbero inviare le proprie truppe ufficiali in Ucraina: non per aiutare gli ucraini, ma nell’estremo tentativo di salvare il loro ingente investimento, costi quel che costi, anche a costo di far scoppiare la terza Guerra Mondiale.
D’altronde, i nostri amici anglo-francesi non sono nuovi a questo tipo di avventure; infatti, come dimenticare la Guerra di Suez del 1956, quando il peggio fu evitato solo grazie all’intervento degli Stati Uniti e dell’allora Unione Sovietica?
Allo stesso modo, il Presidente Biden, che ha gestito nel modo poc’anzi descritto tutta la crisi ucraina, non accetta la possibilità di una imminente chiusura del conflitto, sia per motivi economici nazionali (oltre 174 miliardi di dollari spesi dagli Stati Uniti), sia per interessi personali legati al figlio Hunter Biden, che per motivi di prestigio, poiché una condotta diametralmente opposta alla propria da parte di Donald Trump metterebbe in luce tutta l’opacità del proprio operato su questa vicenda. Ed è per questo che, in questi giorni, sta facendo di tutto per far saltare ogni spiraglio di dialogo, inviando fondi e mezzi contro ogni principio etico del buon passaggio di consegne.
La Russia è pronta alla pace, l’amministrazione Trump vuole la fine, e gli ucraini stessi, dopo due controffensive inutili e dispendiose, sono stanchi e demotivati; non ce la fanno più e la presenza dei nordcoreani nella regione (i nordcoreani sono ufficialmente alleati militarmente della Russia dall’estate del 2024, alla maniera della nostra vecchia “Triplice Alleanza”), così come il lancio del nuovo missile ipersonico “Oreshnik” da parte dei russi, o le ripetute minacce di utilizzo dell’arma atomica, non sono segnali da parte del Cremlino per inasprire la lotta o per continuare a combattere all’infinito, ma semmai per avvisare tutti, ora che la pace è più vicina, che nessun colpo di testa sarà tollerato e che nessun gesto irresponsabile o avventato sarà permesso. Infatti, lo stesso Presidente Putin, nel suo ultimo discorso alla Nazione, ha detto: “Abbiamo sempre preferito soluzioni pacifiche e siamo ancora pronti a risolvere tutte le controversie in questo modo. Eppure, non siamo meno pronti ad affrontare tutti i possibili sviluppi che potrebbero derivare dagli eventi in corso. E se qualcuno ne dubita ancora, si sbaglia di grosso. La Russia reagirà sempre.”
Dunque, perché perseverare con le tensioni?
L’Italia e il mondo intero, dalla fine di questo conflitto, avrebbero solo da guadagnarci. Otto von Bismarck soleva dire che ‘la politica è l’arte del possibile’, ed io aggiungerei che ognuno è capace di costruirsi la migliore cornice possibile a seconda dei momenti storici che si profilano dinanzi a sé. E l’Italia, se vuole, ha davanti un roseo futuro come cerniera tra due mondi: quello atlantico e quello russo.
Trump ha intuito e compreso che non vi potrà mai essere contenimento della Cina finché la Russia sarà scaraventata tra le braccia di Pechino; ecco perché, ob torto collo, una nuova stagione di dialogo e collaborazione tra le due superpotenze è ormai alle porte. Il nuovo corso isolazionista degli Stati Uniti, unitamente ai problemi demografici dei russi, fa sì che ogni ulteriore partner e attore di questo dialogo sia chiamato a una propria assunzione di piena responsabilità e affidabilità, che comporterebbe anche una adeguata espansione della propria autonomia
Certo, per attuare tutto questo non ci vorranno settimane né mesi, ma anni; è necessario, se vogliamo riprendere a crescere e camminare.
La mia organizzazione, ad esempio, opera principalmente in Abruzzo, una terra che vive le preoccupazioni e le incertezze legate all’automotive, ed è per questo che anni fa cercai di portare investitori russi nella mia regione, per continuare a dare benessere e lavoro ai miei concittadini. Un percorso era stato avviato, e un ponte era stato costruito; il Covid prima, e la guerra poi, li hanno notevolmente danneggiati, ma oggi abbiamo un’occasione, Signor Presidente: quella di riprendere un cammino sospeso e, con noi, tutta la Nazione.
Abbia pertanto il coraggio e la forza di essere, Signor Presidente del Consiglio, non strumento di lotta della parte sconsiderata dell’Occidente, ma strumento di pace per il mondo intero.
A tal riguardo, voglio suggerirle di farsi promotrice di una conferenza di pace tra tutti gli attori in campo, Russia e Vaticano compresi, qui in Abruzzo, nella città di Ortona, poiché in essa, presso la cattedrale del paese, sono custodite le sacre ossa dell’Apostolo Tommaso, reliquia quanto mai cara non solo ai cattolici, ma anche e soprattutto agli ortodossi. La città di Ortona, poi, è conosciuta da tutti gli storici del mondo come la ‘Piccola Stalingrado d’Italia’, in quanto lungo le proprie strade si combatté, tra le truppe tedesche e alleate, una delle battaglie più sanguinose e feroci di tutta la Seconda Guerra Mondiale.
Insomma, nella terra di Celestino V c’è una città martire dal grande significato simbolico che potrebbe fungere da ponte e non da palizzata.
Noi, come tutti gli uomini di buona volontà, attendiamo fiduciosi, poiché, come affermò Pio XII: “Tutto è perduto con la guerra, nulla è perduto con la pace”, specialmente con l’avvicinarsi del Santo Natale. Auguro a Lei, a tutti i suoi cari e alla Nazione intera ogni bene e prosperità, nell’ottica della pace e della concordia.
Lorenzo Valloreja
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