BASHAR AL-ASSAD E’ IL SOLITO AMICO DELL’ITALIA, CHE ABBIAMO DOVUTO SCARICARE ED ESECRARE PER “ORDINI SUPERIORI”

Bashar al-Assad, presidente della repubblica araba di Siria, è fuggito dalla sua patria rifugiandosi in Russia suo ex grande alleato e protettore assieme alla repubblica islamica di Iran. E la stessa Russia sta ritirandosi dalle sue basi aeronavali e di truppe di terra.

Sembra che questo preluda a un riposizionamento libico della presenza russa in Mediterraneo (per nulla confermato), ma sta di fatto che il movimento non conferisce nessuna gloria e prestigio alle armi moscovite. Anni di risorse materiali e soprattutto umane sostanzialmente sprecate, travolte dalla sostanziale onnipotenza israeliana e intraprendenza e ambiguità turche. Un progetto geopolitico andato in fumo come i mezzi e strutture delle peraltro patetiche forze di cielo, terra e mare siriane mai all’altezza del loro potenziale e distrutte come birilli dall’aviazione e dai missili con la stella di David.

Qui non mi importa che la futura leadership siriana (ancora tutta in formazione, e ammesso che in Siria fuori Damasco ancora ci sia da comandare a qualcuno) sia più sul talebano o sul pragmatico. Dico solo che in Siria (dove un tempo era, si diceva, il secondo esercito dell’area mediorientale dopo l’israeliano) ora non ci sono più forze armate ma solo milizie e bande armate al massimo, di missili a spalla. Altro, da Israele, non è concesso altrimenti non lo avrebbe distrutto.

Fine dell’ultimo regime baath, ovvero del fascismo tradotto in arabo.

Bashar, di formazione accademica e professionale oculista, fu presidente nel 2000 succedendo al padre “per caso” data la scomparsa prematura in un incidente automobilistico (spesso sospetto specie da quelle parti) del fratello maggiore, in una logica più monarchica che repubblicana.  

Per esattamente dieci anni godé di buona stampa in Occidente. Poi, nel 2010 la cosiddetta primavera araba decisa dalle intelligences occidentali raggiunse anche una terra effettivamente dittatoriale come la Siria, ma che fino ad allora era stato guardata con quel tipo di bonarietà (oggi riguardante ad esempio la Giordania) della serie “ c’è un tiranno però tutto sommato abbastanza moderato, tollerante verso le minoranze varie, e ci si possono fare affari”.

All’improvviso, Assad divenne come Gheddafi o Saddam un criminale che “massacra il suo popolo”: Syria delenda est, basta con l’anomalia socialnazionale (per non dire nazionalsocialista araba). Come se ogni regime, dico ogni, dinanzi a masse tumultuose, armate, e fanatiche non abbia il diritto all’ autodifesa: ciò non toglie che possa essere anche criminale, ma da prima, non certo perché il suo esercito o polizia sparino contro chi è deciso a fare una rivoluzione. E se così fosse, ed era nel caso della Siria prima della sua lenta demolizione territoriale e politica a opera di turchi, americani, israeliani e tagliagole vari, non vedo perché ad Assad si sia conferita la più alta onoreficenza della Repubblica italiana nel contesto della visita di ben quattro giorni condotta dal presidente della repubblica  Giorgio Napolitano a Damasco e dintorni nel 2010.

Le intelligences nazionali (anche una subalterna come l’italiana) tramite le rappresentanze consolari sanno bene quale sia il clima e l’humus di un paese: impensabile che le burocrazie di Farnesina e Quirinale si fossero “sbagliate”. Semplicemente e banalmente, Obama non aveva ancora deciso, come fece nell’anno successivo, di liquidare Assad montandogli le piazze contro e facendolo etichettare come criminale dalla cosiddetta “comunità internazionale”. I vassalli dovettero immediatamente (entro e non oltre le ventiquattro o al massimo quarantotto ore, come da burocratese) adeguarsi.

La Gran Croce gli fu revocata alcuni anni dopo per “indegnità” e con quasi ammirevole sprezzo del ridicolo, d’altronde fisiologico in un soggetto così tronfio e arrogante come Re Giorgio.

Ma anche in una precedente visita italiana di Assad, gli allora presidenti di Camera e Senato, Pierferdinando Casini e Marcello Pera ebbero parole lusinghiere per l’uomo forte di Damasco. I due lo incontrarono in una cena di gala organizzata dalle nostre Camere. Pera durante l’incontro con Assad disse: “Sono molto lieto di accoglierla a Palazzo Giustiniani. Lo sono, in maniera particolare, perché Lei è il rappresentante di un popolo amico dell’Italia, mediterraneo come il nostro, che ha alle spalle un’antichissima civiltà. Questo rende più agevole la cooperazione tra le nostre Nazioni, a beneficio della pace e della stabilità del mondo intero. Mi riferisco alla situazione in Medio Oriente dove il suo Paese svolge un ruolo importante nel processo di pace”. 

Certo, l’apertura delle galere è stata degna di un film dell’orrore (dicono, e ammesso che sia vero quello che si legge compresa la pressa per appiattire i cadaveri prima di acidificarli, degna di un film tra i più splatter). Ma cosa crediamo che sia un carcere egiziano o giordano o anche turco? Il caso Regeni dovrebbe suggerirci qualcosa.

E se mi si consente la digressione filosofica, la violenza è di qualsiasi regime anche se in dosi differenti da caso a caso, e quando è in atto una guerra civile ovviamente debordano. E’ tutta questione di narrazione politica e mediatica. Anche un “banale” tamponamento intenzionale con conseguenze letali da parte di un’auto delle forze dell’ordine può essere visto come l’errore di una pecora nera, o la dimostrazione della brutalità di questo o quel regime. Chiamasi relativismo hegeliano.

A. Martino  

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