LA COMPLESSA STORIA DEI TRAGICI FATTI DI PIAZZALE LORETO.

Dal 1944 a Milano, un luogo evoca per gli italiani la tragedia che ogni guerra, e ogni guerra civile, porta con sé: questo luogo è Piazzale Loreto, anche se non più luogo di eccidio o “macelleria messicana” ma assai più mitemente, di verbali di polizia politica, o di aspra polemica, o di memorie rancorose e parziali. Tanti altri luoghi sono per noi evocativi da Marzabotto alle Fosse Ardeatine alle Foibe d’Istria fino a qualcuno meno noto quale Gorla con la sua scuola (e scolaresca) massacrata da un bombardamento dei “liberatori”, ma Piazzale Loreto ruota attorno all’uomo su cui la storia italiana (e non solo) del Novecento continua a girare come ipnotizzata, incapace di vivere il passato non come inestinguibile ipoteca, ma come vera Storia: Benito Mussolini. Questa ampia piazza sul cui perimetro la speculazione edilizia si è data da fare e in cui il distributore di benzina famigerato non esiste più, sostituito da una enorme aiuola-rondò , ha visto infatti in data 29 aprile 1945, lo sfacelo definitivo del regime fascista fino allo scempio del cadavere del Duce ucciso assieme alla sua devotissima amante; tale sorte toccò ai resti mortali non solo della sventurata coppia poco clandestina, ma anche a quelli di altri gerarchi catturati e passati per le armi come Alessandro Pavolini.

Ecco quindi la “macelleria messicana” di cui ebbe a vergognarsi lo stesso Sandro Pertini, che pure disse – a ragione, visto la propria storia personale e famigliare – che avrebbe senza indugio sparato personalmente a Mussolini, che per un soffio non incrociò di persona durante i tentativi di negoziato a Milano quando tutto ormai, volgeva al termine. E probabilmente la notizia piombata nel bunker della Cancelleria di Berlino indusse Adolf Hitler alla scelta definitiva del suicidio, e all’ordine del rogo del cadavere suo e di Eva Braun (a voler scartare la teoria non inconsistente per cui sarebbero fuggiti in Sud America).

La scelta del luogo dell’orrido epilogo di un quarto di secolo italiano non fu per niente casuale, ma concretizzò una precisa rappresaglia antifascista : all’alba del dieci agosto 1944, quindici partigiani prelevati da San Vittore, dal gruppo Oberdan della Legione Ettore Muti, erano stati passati per le armi negando qualsiasi conforto spirituale, e i loro cadaveri barbaramente esposti per molto tempo, sottoposti a vilipendio; e i passanti costretti a contemplare tale scempio. Fu una classica rappresaglia in stile nazista, anche se dal contorno efferato oltre la media. Ma cosa mai era successo? Come si arrivò a tanta efferatezza e oblio di pietà ed umanità, tale da alienare ai fascisti nel mondo milanese tante non dico simpatie, ma almeno innocui attendismi ?

Ebbene, due giorni prima si era verificato un attentato mai rivendicato, e di cui i GAP hanno sempre smentito ogni paternità, a differenza di tanti altri e della stessa Via Rasella in Roma, causa storica che piaccia o no, della tremenda rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Nel verbale della Guardia Nazionale Repubblicana (Archivio Centrale dello Stato, Fondo Gnr, c. 36, f.VII, sf.8. si legge: “Oggetto: Attentato terroristico. Milano, lì 8/8/1944. Ore 8,15 di oggi in Viale Abruzzi all’altezza dello stabile segnato con il N° 77 scoppiavano due ordigni applicati ad opera d’ignoti all’autocarro germanico con rimorchio targa W.M. 111092 lì sostante dalle ore 3 di stamane e affidato all’autiere caporal Maggiore Kuhn Heinz, che dormiva nella cabina di guida”. Nell’esplosione e poche ore dopo muoiono sei bimbi, una donna non identificata e due padri. Tra i 13 feriti gravi altri sei tra bambini, madri e padri, spireranno il giorno dopo, portando il bilancio finale a 15 morti, sette feriti gravi e qualche decina di leggeri. L’unico che se la cavò con qualche ferita lieve fu proprio  il graduato tedesco, che di buon grado provvedeva al poco marziale incarico di distribuzione gratuita di latte (ecco il motivo della presenza di tante famiglie sul posto, a una simile ora).

La reazione tedesca fu mentalmente e giuridicamente  contorta, come in fondo tutto il rapporto con la Repubblica Sociale italiana. “Una cosa italiana” dato che le vittime erano tutte italiane, però l’attentato era pur sempre indirizzato contro (o anche contro) un militare del Reich e mezzi e risorse dello stesso. Quindi, si pretese in modo inflessibile la rappresaglia col suo lugubre corollario. A questa si oppongono il cardinale Schuster e il prefetto Barini, che si dimette. Mussolini invia una protesta all’ambasciatore tedesco presso la RSI, Rudolf Rahn, accompagnandola con queste parole: “Questi metodi sono contrari ai sentimenti degli italiani e ne offendono la naturale mitezza”. Tutto vano. Il capitano SS Theodor Saevecke responsabile del SD (Sicherheitsdienst di Milano) pretese la rappresaglia e compilò lui stesso la lista, come testimoniato da Elena Morgante, impiegata nell’ufficio delle SS, cui fu ordinato di battere a macchina i nomi dei 15 ostaggi, imprigionati nelle carceri di Milano. Nonostante le prove già raccolte nel 1946 dalle autorità d’occupazione inglesi sulle responsabilità di Saevecke in merito alla strage di Piazzale Loreto, nel dopoguerra l’ex capitano delle SS lavorò prima al servizio della CIA e poi, riammesso nei ranghi della polizia federale tedesca, fece una brillante carriera divenendo vicedirettore dei servizi di sicurezza della ex Germania ovest fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1971. Condannato definitivamente all’ergastolo nel 1999, la giustizia italiana ottenne solo l’apertura di un procedimento tedesco nel 2000, estinto nello stesso anno in seguito alla morte dell’accusato.

Abbiamo detto che nessun comando partigiano rivendicò l’attentato, e da parte antifascista si è portata avanti la tesi che i tedeschi “si siano fatti” l’attentato, per giustificare una feroce rappresaglia e quindi garantirsi tranquille vie di ritirata verso la dorsale alpina. La tesi mi sembra alquanto assurda, per più di un motivo. Non era meglio tutelare il quieto vivere invece di inscenare un tale Grand Guignol, che avrebbe finito per creare solo maggiori consensi alle formazioni resistenziali? Come si può pensare che i nazisti, nel loro ultranazionalismo, accettassero di sacrificare a un piano così demenziale anche una sola vita tedesca?

Crediamo piuttosto che l’attentato di Viale Abruzzi sia stato realizzato: a) da un “cane sciolto” forse mai identificato nemmeno dai comandi partigiani ; b) oppure da servizi segreti alleati. Considerato che si parla di esplosivi e non di semplici pistolettate magari sparate da un ciclista, scarterei a) propendendo per b). Infatti, era una precisa strategia alleata, con particolare impegno britannico, quella del provocare feroci ritorsioni delle forze di occupazione germaniche, consapevoli della debolezza nazista rappresentata dell’automatismo della spietata rappresaglia. Basti pensare alla Operazione Anthropoid per eliminare Reinhard Heydrich da molti visto come delfino di Adolf Hitler, che spezzò la relativa quiete dell’occupazione tedesca in Boemia-Moravia e nella stessa Praga, nonostante tutto unica capitale assieme a Parigi ad aver attraversato sostanzialmente incolume quegli anni bui. E certo il contesto si attirava una simile iniziativa, dato che strideva con l’immagine truce, certo spesso ampiamente giustificata e non solo da propaganda alleata, del pugno di ferro nazista.

Insomma, celebrare da parte antifascista il 25 aprile con insistenza a Piazzale Loreto in senso di rivendicazione di una vendetta è sbagliato, come lo è da parte neofascista farlo in chiave puramente vittimistica. La Storia, a constatarlo ci sembra di aver portato per mano il lettore che abbia pazientato, è molto più complessa della propaganda e di qualunque bignamino nostalgico o di dogmi di stato. E sarebbe molto utile rendersi conto che da tre quarti di secolo “ i soliti noti” giocano sulla pelle del nostro popolo dividendolo e lobotomizzandolo anche, e soprattutto, nella memoria storica, che così mai potrà essere condivisa.

ANTONIO MARTINO        

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