DALLO CHAMPAGNE AI MISSILI IL PASSO È BREVE, ED È LA GEOPOLITICA OLTRE L’OCCIDENTE

Dal 2020 a oggi, abbiamo assistito a una proliferazione significativa delle riunioni del G7: siamo passati dalla tradizionale riunione annuale agli attuali 8-9 incontri, che comprendono, oltre alla partecipazione dei leader dei Paesi membri, anche numerose riunioni a livello ministeriale. Questo cambiamento, secondo gli organizzatori, è volto ad affrontare questioni economiche e sociali globali, intensificatesi in seguito alla pandemia e alle guerre in corso. Tuttavia, agli occhi di noi modesti cittadini, sembrano solo un’occasione per accendere i riflettori su località sconosciute, come Borgo Egnazia in Puglia e Mirabella Eclano in Campania, o su città in via di promozione come la dannunziana Pescara.

Nel frattempo, mentre i leader del G7 si sono riuniti circa cinquanta volte negli ultimi cinque anni per brindare e rassicurare il mondo che “il boccino” è fermamente nelle loro mani, i BRICS si sono incontrati solo cinque volte, espandendosi da quattro a nove membri e accogliendo numerose richieste di adesione, al punto che l’organizzazione potrebbe presto contare 36 Paesi.

Ma, al di là di questo, sono i numeri impietosi che ormai indicano come il G7 da solo non abbia più la capacità di influenzare il panorama globale. I BRICS rappresentano oltre il 40% della popolazione mondiale, con un PIL che supera un terzo di quello globale, e detengono insieme circa 7.000 testate nucleari, 1.000 in più rispetto alla NATO. È naturale, quindi, che la Turchia, pur essendo un membro significativo dell’Alleanza Atlantica, guardi ai BRICS come un’opportunità strategica ed economica. In questo contesto, non sorprende che proprio nel giorno in cui Erdogan si recava a Kazan per incontrare Putin e altri leader multipolari, un attacco dell’immancabila PKK alla sede dell’industria aerospaziale turca abbia causato cinque morti e una ventina di feriti.

D’altronde, per una certa parte dell’Occidente, i “cattivi” sembrano essersi riuniti tutti in Russia: dal Sudafrica, che ha chiesto l’incriminazione di Netanyahu per crimini di guerra al Tribunale Internazionale dell’Aja, a Putin, responsabile dell’invasione dell’Ucraina, fino all’Iran, che minaccia la cancellazione dello Stato d’Israele, e alla Turchia, che, pur essendo alleato degli Stati Uniti, ha adottato una posizione fin troppo ferma e accusatoria nei confronti di Tel Aviv, mantenendo al contempo una posizione ambigua nel conflitto in Ucraina.

Quindi, chi ha dato il via libera al Partito dei Lavoratori Curdi? Chi li ha armati? Chi li ha protetti? È possibile che dietro l’attacco del PKK ci sia il Mossad, intento a dividere il fronte anti-israeliano e destabilizzare la regione per alleggerire la pressione sul governo di Netanyahu, oppure gli Stati Uniti, che potrebbero voler mandare un messaggio chiaro alla Turchia riguardo la sua ambiguità. O forse, entrambe le forze agiscono con lo stesso obiettivo.

Se così fosse, si tratterebbe solo dell’ennesimo “canto del cigno” occidentale: le posizioni strategiche vacillano, mentre l’ordine globale muta. Notizie censurate in Occidente raccontano come persino la guerra di Israele contro i suoi vicini non stia procedendo come previsto. Infatti, secondo fonti estere, i recenti attacchi missilistici e con droni dell’Iran, descritti dai media occidentali come inefficaci, hanno in realtà causato danni significativi alle infrastrutture militari israeliane. Questo risultato è stato possibile grazie al precedente attacco fallimentare del 13 aprile 2024, che ha permesso alle Guardie della Rivoluzione iraniane di analizzare e individuare le falle nei sistemi d’arma Iron Dome e David’s Sling.

Questo Trump lo sa, ed è per questo che, se eletto, rivoluzionerà la politica estera americana seguendo il vecchio adagio del “se non puoi batterli (la Russia), fatteli almeno amici!”, mettendo in discussione persino l’esistenza stessa della NATO e del G7, i quali, così come sono, non sembrano più essere utili a nulla e nessuno, se non per creare problemi e tensioni nelle relazioni internazionali.

Lorenzo Valloreja

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