TRA ATTENTATI E RAPIMENTI: ISRAELE STA TESSENDO LA RETE DEL SUO “NUOVO GRANDE GIOCO”
Come avrete capito, né io né questo giornale le mandiamo a dire: la verità va sempre accettata e, una volta accettata, va comunicata ai lettori affinché possano farsi un’idea e trarre le proprie conclusioni.
Nel caso specifico, la verità scomoda, per me, è constatare che in Medio Oriente – fatta forse eccezione per la Turchia (e per noi questo è un grande problema, come ho già spiegato in centinaia di articoli precedenti) – non c’è né una nazione né una potenza regionale capace di bilanciare e contenere il concetto di “Eretz Israel”, ossia il diritto del popolo ebraico, sancito dalla Bibbia, alla terra di Israele dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, senza la presenza di uno Stato Palestinese.
Infatti, per quanto il regime di Teheran, gli Hezbollah e Hamas possano agitarsi e minacciare Tel Aviv, i vecchi e obsoleti cerca-persone usati dal Mossad come bombe per eliminare a distanza i quadri dirigenti del Partito di Dio, sia in Libano che in Siria, hanno rivelato la debolezza del fronte sciita. Questi attentati mostrano, forse più della morte del generale Soleimani e della scomparsa del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, quanto la galassia sciita si mantenga “con lo sputo”: bassa affluenza degli iraniani alle ultime presidenziali (circa il 40% degli aventi diritto), giovani che pagano per evitare il servizio militare e alti funzionari che si vendono, fungendo da quinte colonne o fiancheggiatori degli israeliani. Questo di certo non dipinge una Repubblica Islamica in buona salute.
Altro che “Fauda”: qui la realtà supera di gran lunga la fantasia e ci sbatte in faccia un’altra verità alla quale forse non avevamo prestato attenzione. Lo Stato di Israele si serve persino dei regimi nemici, in primo luogo per giustificare la propria condotta e, in secondo luogo, per controllare indirettamente territori che nel 2024 non potrebbero più essere gestiti come se fossimo nel pieno del colonialismo del secolo scorso.
In altre parole, Israele mette i suoi nemici non solo contro di sé, ma anche gli uni contro gli altri: sciiti contro sunniti, monarchie contro repubbliche. Crea lo spauracchio della minaccia nucleare da parte dei propri vicini, mentre tutti sanno che lo Stato Ebraico è l’unico nella regione a possedere l’arma atomica, anche se non lo dichiara ufficialmente alla comunità internazionale.
In pratica, Israele gioca come il gatto con i topi. I suoi nemici, pur apparendo grandi e minacciosi agli occhi del mondo, sanno di essere solo palloni gonfiati e di non poter andare oltre le semplici minacce. Gli ultimi attentati compiuti con i cerca-persone sono stati una grande mossa di Netanyahu. Infatti, se il regime degli Ayatollah rispondesse in modo adeguato, gli Stati Uniti sarebbero costretti a intervenire a fianco di Israele. E con Biden a fine mandato e Kamala Harris impegnata in campagna elettorale, gli USA dovrebbero seguire Israele, obtorto collo, senza obiezioni. Teheran sa bene tutto questo, ed è per questo che rimane in silenzio, creando non poco imbarazzo anche tra i propri alleati.
D’altro canto, se Israele riuscisse a far crollare il regime degli Ayatollah, chi controllerebbe quel vasto territorio? Con esso cadrebbero nel caos anche l’Iraq e la Siria. Ecco perché potrebbe essere la stessa Russia a frenare l’Iran, non avendo interesse a destabilizzare un’area che, per inciso, tocca il Caucaso e quindi gli interessi di Mosca.
Fatto sta che, al netto delle pressioni internazionali e delle strategie di Israele, gli sciiti possono ben poco. Se non sono riusciti a evitare che:
- alcuni cerca-persone venissero imbottiti di esplosivo;
- il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, venisse assassinato a Teheran;
- il generale Qasem Soleimani venisse eliminato in una città “amica” come Baghdad.
È dunque facile immaginare che anche se avessero la bomba atomica e tentassero di usarla contro Israele, questa probabilmente ricadrebbe loro addosso, sabotata da qualche hacker al soldo del Mossad.
In altri termini, non siamo di certo di fronte a temibili guerrieri, ma, come si direbbe in Abruzzo, a miseri “scingiapaje”. Peccato, però, che a rimetterci la pelle, come succede ormai da più di 70 anni, siano sempre, nella stragrande maggioranza dei casi, minori palestinesi colpevoli solo di credere in un sogno, o, se preferite, in un’utopia.
Lorenzo Valloreja
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