L’UCRAINA PORTA MORTE E DISTRUZIONE NEL TERRITORIO RUSSO, E NE OCCUPA UN PEZZO NELLA REGIONE DI KURSK. E’ PURTROPPO LA GUERRA, NIENTE DI STRANO. MA SIAMO A UNA VERA SVOLTA.

L’ operazione denominata dall’ alto comando tedesco Zitadel (meglio nota in Italia come la battaglia del saliente di Kursk) fu nell’estate del 1943 l’estremo tentativo di Hitler di riprendere l’iniziativa strategica in Russia, dopo il disastro di Stalingrado.

Condotta esclusivamente da forze tedesche (Stalingrado con le seguenti ritirate aveva visto il sostanziale annientamento e disimpegno delle forze romene o italiane etc.), la battaglia del Saliente vide sancita la superiorità sovietica con ulteriore impressionante dispendio di vite e mezzi tedeschi. Contemporanea a sbarco in Sicilia e colpo di stato antimussoliniano, tenne in un certo senso distratti i vertici dello stato nazista, inizialmente, dai parimenti disastrosi sviluppi italiani. Diciamo che dalla conclusione di queste giornate di fuoco in tutti i sensi e che restano tuttora il più grande scontro di mezzi corazzati della Storia, le forze di Stalin iniziarono, con crescente velocità e impeto e in pratica senza interruzione alcuna, quella cavalcata delle Valchirie che li porterà fino al bunker di Hitler in Berlino.

Penso quindi che dire Kursk (lo sfortunato potente sommergibile ne è riprova) per un russo significhi tanto e appena meno che dire Stalingrado, un po’ come per noi, dire se non Piave, almeno Grappa o Isonzo.

La offensiva ucraina a sorpresa proprio nell’ oblast di Kursk, e non nella solita direttiva di Belgorod, rischia quindi, col passare delle ore (o addirittura dei giorni), presso una realtà come quella russa dove la Storia conta molto, di creare per il sistema putiniano e per lo sforzo bellico russo, non solo uno smacco reale ma anche una suggestione disfattistica per nulla trascurabile. Le perdite russe non sono da poco, e sembra che più di un camion zeppo di poveri fanti sia stato centrato, come in un film ambientato nella seconda guerra mondiale e come se nel 2024 l’arte militare nulla abbia appreso in tema di concentramento degli uomini e dei mezzi.

Gli obiettivi ucraini sembrerebbero essere alquanto ambiziosi, se davvero dovessero puntare a uno snodo fondamentale per il transito del gas di Gazprom, come fonti militari occidentali pensano (o sanno).

Ma gli ucraini hanno preso l’iniziativa anche nella regione di Lipetsk, con uno sciame di droni non tutti abbattuti dalla contraerea russa. Senza addentrarmi nei dettagli militari, mi sembra il caso di sottoporre ai lettori qualche riflessione più che altro politica, obiettiva e lontana da qualunque tifo da stadio e ciecamente filorusso a prescindere dai dati di fatto.

Innanzitutto, mi ha sempre destato stupore che le forze russe non siano mai riuscite, o semplicemente non vi abbiano pensato, a creare un cordone sanitario attorno all’intero confine con l’Ucraina. Come se questa guerra fosse una specie di enorme operazione di polizia russa (d’altronde la chiamano operazione militare speciale) contro delle bande di criminali che non possono permettersi di andare a insidiare le forze dell’ordine nelle loro caserme o stazioni.

Oggettivamente surreale, d’altronde corrispondente alla degenerazione del concetto di guerra che ormai non è più dichiarata con tutte le conseguenze giuridiche che ciò comporterebbe; da qui non solo la guerra in casa di altri presupponendo che questi non possano portarla a casa propria, ma anche la guerra del “botta e risposta” con risposta segretamente concordata come tra Israele e Iran. Da questo punto di vista, purtroppo per il Cremlino non ha senso parlare di “provocazione” di Kiev. Ed è sincera molto più l’eurocrazia che il viscido Pentagono quando dice che gli USA (e la Nato, quindi) non ne saprebbero nulla.

Bruxelles infatti manda a dire a Putin che lamenta appunto la grave e sanguinaria “provocazione” (molte le vittime civili) che è legittima ogni azione militare ucraina nel conflitto. L’eurocrazia però, sarà finalmente sincera ma di certo non coerente dato che fino a qualche giorno fa Kiev veniva continuamente condizionata, nelle forniture ricevute, a sofistici limiti chilometrici di utilizzo nel territorio russo a partire dal confine. Vittime civili? Non pervenuto, anzi non ce ne frega niente, sembrerebbero dire. Vogliono l’escalation e il regolamento di conti finale. Patetico da questo punto di vista il nostro ministro della Difesa Guido Crosetto, che ancora, a teatro deserto, recita la storiella delle “armi italiane che sono state date solo per la difesa”. Ridicolo se non fosse tragico: una pistola o un missile o un cannone sono delle armi, servono a far fuori o ferire un avversario, o a distruggere i suoi beni, mezzi, armamenti . Punto e basta.

E la Bielorussia dell’amico di ferro Lukashenko? Oltre a beccarsi un ingiusto boicottaggio olimpico, a quanto pare, non ha nessuna potenzialità per impensierire Zelensky? Anni di manovre militari comuni tra Mosca e Minsk a cosa sono serviti, oltre che a far cambiare aria a militari russi? Un fronte sul confine bielorusso sarebbe un bell’imprevisto per Zelensky, ma a quanto pare il regime di Minsk non ha la solidità necessaria per affrontare una guerra, dovendosi limitare al massimo a fare da punto di ammasso e “santuario” logistico per i mezzi di Mosca.

Arrivare al tavolo delle trattative con una porzione di territorio nazionale russo e federale occupata dagli ucraini è impensabile per Vladimir Putin, costui è sicuramente d’accordo: ma che fare a questo punto? Una piccola atomica tattica? Premere sull’acceleratore nel Donbass? La prima ipotesi è pericolosissima, e potrebbe comportare l’accecamento da parte della Nato di tutte le strutture difensive russe. In quanto alla seconda ipotesi, siamo sicuri che a questo punto la Russia possa fare di più? E poi, non lo ha fatto prima per evitare un bagno di sangue dei civili ritenuti “fratelli anch’ essi in fondo russi”: la motivazione romantica sussiste tuttora, e i russi sono dei gran romantici.

Che d’altronde, vi sia un po’ di azzardo strategico e di avventurismo nella iniziativa di Kiev, è innegabile: prova ne è la evacuazione della confinante regione ucraina di Sumi, evidentemente temendo una devastante ritorsione tattica russa. E infatti nella giornata odierna (mentre scrivo sabato 10 agosto, ndr) la Russia ha effettuato, tra l’altro, il lancio di una mostruosa bomba FAB 3000 (mezza tonnellata di esplosivo) sulla periferia meridionale di Sudzha, ove si concentrano mercenari al soldo occidentale.

In guerra non si può mai pronosticare con stupida certezza l’esito; ma se fossi in Putin o comunque in qualcuno del cerchio magico del Cremlino riterrei ogni giorno di permanenza ucraina sul territorio russo una erosione della leadership, oggettiva e non puramente dialettica. Non perché creda che questo possa addirittura portare a un tracollo militare generalizzato, ma per la disastrosa ricaduta sul morale delle truppe e sul cosiddetto fronte interno. A beneficiarne, più che la opposizione filooccidentale, potrebbero essere quei settori ben più “estremisti” e nazionalisti di Putin, i quali fin dal febbraio 2022 lamentano una troppo blanda e “bonaria” (ovvero romantica, io uso dire) conduzione delle operazioni.

Probabilmente, la colpa indiretta e scatenante dell’offensiva ucraina su Kursk è in un certo senso di Trump: nonostante i sondaggi pro Harris vi è ancora troppa paura per la possibile rielezione del tycoon, e Zelensky vorrebbe migliorare, e in questo momento ci sta riuscendo non poco, la sua posizione al tavolo negoziale.

La dice lunga sulle carenze dell’intelligence russa il fatto che, mentre gli ucraini definivano i dettagli dell’offensiva e stavano per diramare gli ordini operativi, l’ex ministro della Difesa Shoigu fosse a Teheran a discutere di cooperazione militare russo-iraniana.

A. Martino

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